Finally, after the forced closures, with hesitation and much perplexity, we have to start again. It is necessary to start again with new enthusiasm, with new sensitivity. It’s not a question of restarting from where we left off, the world social and health crisis has slowly domesticated us. It has brought us back to the limits of a widespread fragility, of which up to now we had deluded ourselves to be immune. But no! Here is the first resource that helps us to get back on our feet, the awareness that we are vulnerable, and we have also understood that we will never be allowed to be well and to live healthy if we continue to make choices that are sickening the planet.
A spiritual resource that we cannot ignore is the removal of barriers. The virus did not respect geographical boundaries, it was invisible, it threateningly moved on planetary latitudes with worrying speed. It made no distinction between races and peoples. It has affected everyone, so we are bound by a single destiny of well-being or failure and everything is irreducibly connected, health, economy, education, politics, environmental protection, the migration of peoples. –Everything is connected! Having this awareness propels us towards globalized and shared responsibilities.
In the sad experience of the world pandemic, a flourishing of voluntary work and services that have imprinted the mark of true humanity in hospitals, nursing homes, in the aftermath of sad experiences of death, there has been a general mobilization to offer the sick, the lonely, the dying the experience of a Christian humanism that never ceases to indicate the divine and the transcendent. It is true, in the loneliness of social distancing we have learned to travel on social channels, but we have also understood that they can be a substitute and temporary solution, we need concrete, visual relationships, we need an embrace, a handshake, a smile, today sadly veiled by the presence of a mask. An excellent precautionary discovery, but who has not felt it at least for a moment as a heavy boulder or a very painful blow suffered!
The forced inoperability has also pushed us to put order not only in the papers and junk stored in the bottom of our drawers. The real order concerned life, conscience, God’s place, reflection on life and death, and above all on the task incumbent on each one to build true and authentic relationships marked by acceptance and mutual respect. In the crisis, we have felt the urgency of solidarity and decisive choices for the values and options that really matter beyond ephemeral mirages and wishful thinking. There are goods that are priceless and that cannot be purchased except at a high price and of renunciation, sacrifice, and day-to-day work.
The window of a wounded and sick world has opened before us. With the bare nerve of the arms race and the subsistence of a killing economy. A human family that must rediscover the now unavoidable ties of a planetarity that saves or destroys everyone. A challenge in which we must absolutely feel involved with discernment on the technocratic paradigms that have deceived man to be capable of everything, and to realize every form of capricious conquest even when this not only does not fall within the parameters of true development but even contradicts and annuls it.
We will start again with the awareness that we cannot do without the work and collaborations of men and women employed in the food chain, in the care of our elderly and sick people. We have them in our homes, in our companies and yet we still call them illegal immigrants. They deserve respect and recognition of their rights, only in this way will it be possible for them to monitor health care, organize remittances to their countries of origin and what is most important, and remove these workers from the unfair and squalid markets where the shadow of criminal organizations looms over them. “Now, as we think of a slow and laborious recovery from the pandemic, this very danger creeps in: forgetting who is left behind. The risk is that we will be hit by an even worse virus, that of indifferent selfishness”, these words of Pope Francis help us to understand that, in order to really start again, we must leave behind us the selfishness and the indifference that kills.
We need a new alliance with Mother Earth. The ecological conversion so much invoked by Pope Francis is still waiting for significant results; it is a question of renouncing the advantageous profits that are built at the expense of minorities and the exploitation of poorly paid work that does not always respect the necessary environmental precautions. The giants of an economy of profit and undistributed interests continue to produce traces of hunger and death. They start again, yes, but with the awareness that we need new horizons.
Teggiano 17 May 2020
Msgr. Antonio De Luca
Image by Daniel Nebreda from Pixabay
Ricominciare con affanno
Dopo le forzate chiusure, finalmente con esitazione e con tanta perplessità, bisogna ripartire. È necessario ricominciare con nuovo entusiasmo, con nuova sensibilità. Non si tratta di ripartire dal punto dove avevamo interrotto, la crisi socio-sanitaria mondiale ci ha lentamente addomesticati. Ci ha ricondotti nei limiti di una fragilità diffusa, della quale fino ad oggi ci eravamo illusi di essere immuni. Invece no! Ecco la prima risorsa che ci aiuta a rialzarci, la consapevolezza che siamo vulnerabili, ed inoltre abbiamo anche compreso che non ci sarà mai consentito di stare bene e di vivere sani se continuiamo a fare scelte che ammalano il pianeta.
Una risorsa spirituale che non possiamo ignorare è l’annullamento delle barriere. Il virus non ha rispettato i confini geografici, invisibile, minaccioso si è mosso sulle latitudini planetarie con preoccupante rapidità. Non ha fatto distinzioni di razze e di popoli. Ha colpito tutti, dunque siamo legati da un unico destino di benessere o di fallimento e tutto si presenta irriducibilmente connesso, la sanità, l’economia, l’educazione, la politica, la custodia dell’ambiente, le migrazioni dei popoli. –Tutto è connesso! Avere questa consapevolezza ci proietta verso responsabilità globalizzate e condivise.
Nella triste esperienza della pandemia mondiale è venuta fuori una fioritura di volontariato e di servizi che hanno impresso il marchio della vera umanità negli ospedali, nelle case di riposo, all’indomani di tristi esperienze di morte, vi è stata la mobilitazione generale per offrire ai malati, alle persone sole, ai morenti l’esperienza di un umanesimo cristiano che mai smette di indicare il divino ed il trascendente. È vero, nella solitudine del distanziamento sociale abbiamo imparato a viaggiare sui canali social, ma abbiamo anche compreso che essi possono costituire una soluzione sostitutiva e temporanea, abbiamo bisogno delle relazioni concrete, visive, abbiamo bisogno di un abbraccio, una stretta di mano, di un sorriso, oggi tristemente velato dalla presenza di una mascherina. Ottimo ritrovato precauzionale, ma chi non l’ha avvertito almeno per un momento come pesante macigno o dolorosissimo colpo subìto!
La forzata inoperosità ci ha spinto anche a metter ordine non solo nelle carte e nelle cianfrusaglie accantonate nel fondo dei nostri cassetti. Il vero ordine ha riguardato la vita, la coscienza, il posto di Dio, la riflessione sulla vita e sulla morte, e soprattutto sul compito che incombe su ciascuno di costruire relazioni vere e autentiche improntate all’accoglienza e al rispetto vicendevole. Nella crisi abbiamo avvertito l’urgenza della solidarietà e delle scelte decisive per i valori e per le opzioni che veramente contano al di là di effimeri miraggi e di velleitarie conquiste. Esistono beni che non hanno prezzo e che non possono essere acquistati se non a caro prezzo e di rinunce, sacrifici e lavorio diuturno.
Dinanzi a noi si è spalancata la finestra di una mondialità ferita e malata. Con il nervo scoperto della corsa agli armamenti e la sussistenza di una economia che uccide. Una famiglia umana che deve riscoprire i legami ormai ineludibili di una planetarietà che salva o distrugge tutti. Una sfida nella quale dobbiamo assolutamente sentirci coinvolti con il discernimento sui paradigmi tecnocratici che hanno illuso l’uomo di essere capace di tutto, e di realizzare ogni forma di capricciosa conquista anche quando questa non solo non rientra nei parametri del vero sviluppo, ma addirittura lo contraddice e lo annulla.
Ripartiremo con la consapevolezza che non possiamo fare a meno del lavoro e delle collaborazioni di uomini e donne impiegati nella filiera agroalimentare, nel settore dell’assistenza ai nostri anziani e malati. Li abbiamo nelle nostre case, nelle nostre aziende eppure li definiamo ancora clandestini. Essi meritano rispetto e riconoscimento dei diritti, solo così sarà possibile anche per loro monitorare la sanità, organizzare le rimesse verso i paesi di provenienza e quello che più conta, sottrarre questi lavoratori da iniqui e squallidi mercati sui quali incombe l’ombra di organizzazioni malavitose. «Ora, mentre pensiamo a una lenta e faticosa ripresa dalla pandemia, si insinua proprio questo pericolo: dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente», queste parole di Papa Francesco ci sono di aiuto a comprendere che, per ripartire veramente, dobbiamo lasciarci alle spalle l’egoismo e l’indifferenza che uccide.
Serve una nuova alleanza con la madre terra. La conversione ecologica tanto invocata da Papa Francesco attende ancora significativi riscontri, si tratta di rinunciare ai profitti vantaggiosi che si costruiscono a scapito di minoranze e nello sfruttamento di un lavoro mal pagato e non sempre rispettoso delle necessarie cautele ambientali. I giganti di una economia di profitto e di interessi non ridistribuiti continuano a produrre tracciati di fame e di morte. Ripartire sì, ma con la consapevolezza che abbiamo bisogno di nuovi orizzonti.
Teggiano 17 maggio 2020
+ P. Antonio De Luca