Nell’introduzione a Le Glorie di Maria, S. Alfonso si preoccupa di porre in rilievo l’istanza fondamentale che ispira l’opera: «lasciando agli altri autori il descrivere gli altri pregi di Maria, ho preso per lo più a parlare della sua gran pietà e della sua potente intercessione; avendo raccolto, per quanto ho potuto, colla fatica di più anni, tutto quello che i SS. Padri e gli autori più celebri hanno detto della misericordia e della potenza di Maria»[1]. E questo perché in lei il Cristo ha «collocata la speranza e ‘1 rifugio di tutti i redenti»[2].
La «fatica di più anni» era iniziata già nei primi anni Trenta. Il 13 giugno 1734 infatti il gesuita Francesco Pepe gli scriveva: «Dica quanto vuole a gloria di questa gran Madre, dica senza scrupolo la di lei grazia infinita… Dia alle stampe il libro, e tutto a gloria di sì gran Madre»[3]. Le Glorie di Maria furono pubblicate solo nel 1750 presso Alessio Pellecchia, dopo aver superato non poche difficoltà, come Alfonso stesso confidava al canonico Giacomo Fontana: «Invio a V. S. Ill.ma il mio povero contraddetto libro della Madonna, uscito finalmente dopo molti stenti, e dopo molti anni di fatica a raccogliere in breve quello che ci sta»[4].
Gli anni Trenta-Quaranta furono decisivi per Alfonso. Furono infatti gli anni della precisazione del suo progetto di comunità missionaria, che vide l’approvazione pontificia nel 1749, e della sua proposta morale con la pubblicazione nel 1748 delle Adnotationes al Busembaum, la prima edizione della Theologia moralis.
Non si tratta solo di coincidenza temporale. Tra la mariologia di Alfonso, la sua proposta di vita cristiana e il suo progetto missionario c’è uno stretto legame: si chiarificano e si sostengono reciprocamente, avendo nella misericordia (la copiosa redemptio) il nucleo fondamentale e l’imprescindibile chiave di lettura[5].
Le riflessioni che propongo si muovono in questa prospettiva, lasciandosi guidare dalle istanze pastorali che hanno portato Papa Francesco a indire il Giubileo Straordinario della misericordia: «Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato»[6].
Lo sguardo misericordioso
La misericordia determina la qualità dello sguardo. Lo sguardo misericordioso illumina di speranza, irradia condivisione, apre alla fiducia. Significativa è la diversità di sguardo tra Gesù e il fariseo Simone. Nella peccatrice, che bagna di lacrime i piedi di Gesù, li asciuga con i capelli e li cosparge di profumo, Simone vede solo il male che ella ha compiuto: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù invece va oltre, arrivando al cuore: «Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato… La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!» (Lc 7,36-50). Lo sguardo di Simone sancisce distanza, giudica, incatena al male che si è fatto; quello di Gesù accoglie, ridesta energie, apre a possibilità nuove di cammino.
Lo sguardo di Maria è riflesso di quello del Figlio: è lo sguardo della madre della misericordia, che fa sperimentare la tenerezza sanante di Dio. La «dolcezza» del suo sguardo, osserva ancora Papa Francesco, porta a «riscoprire la gioia della tenerezza di Dio. Nessuno come Maria ha conosciuto la profondità del mistero di Dio fatto uomo. Tutto nella sua vita è stato plasmato dalla presenza della misericordia fatta carne. La Madre del Crocifisso Risorto è entrata nel santuario della misericordia divina perché ha partecipato intimamente al mistero del suo amore»[7].
Tra le pagine più belle de Le Glorie di Maria vanno certamente annoverate quelle che Alfonso dedica allo sguardo misericordioso di Maria nel capitolo settimo[8], commentando l’invocazione della Salve Regina: «illos tuos misericordes oculos ad nos converte». Il capitolo è costituito da un unico articolo, al quale Alfonso dà il titolo significativo: «Maria è tutt’occhi per compatire e soccorrere le nostre miserie». Stralcio alcuni passaggi più significativi.
Il punto di partenza è un richiamo patristico: «S. Epifanio chiama la divina Madre multoculam: quella ch’è tutt’occhi affin di sovvenire noi miseri su questa terra». Viene sviluppato ricorrendo alla tradizione popolare: «Un giorno esorcizzandosi un ossesso, fu domandato il demonio dall’esorcista che cosa facesse Maria? rispose il nemico: Scende e sale… E volea dire che questa benigna Signora non fa altro che scendere in terra per portare grazie agli uomini, e salire in cielo per ivi ottenere il divin beneplacito alle nostre suppliche. Con ragione dunque da S. Andrea d’Avellino era nominata la S. Vergine, la Faccendiera del Paradiso, che continuamente sta in faccende di misericordia impetrando grazie a tutti, a’ giusti e peccatori»[9].
La premura dello sguardo di Maria è premura materna: è per tutti i suoi figli. S. Alfonso lo ricorda facendo sue le parole di Riccardo di S. Lorenzo: «gli occhi di Maria son occhi di madre, e la madre non solo guarda il suo fanciullo, acciocché non cada, ma ancora acciocché caduto lo vadi a sollevare»[10].
Lo sguardo misericordioso non fa passare indifferenti accanto al bisogno dell’altro, ma lo fa risuonare nel cuore: diventa compassione. Come nel Samaritano della parabola di Luca: «un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui» (Lc 10,33-34).
È quanto ha fatto Maria a Cana (Gv 2,1-5). S. Alfonso lo ricorda riferendosi a S. Bernardino da Siena: «Ben ella dimostrò questa compassione che sentiva delle altrui afflizioni nel fatto delle nozze di Cana… dove mancando il vino, senza essere punto richiesta, come scrisse S. Bernardino il Senese, si assunse l’officio di pietosa consolatrice: Officium piae auxiliatricis assumpsit non rogata. E per mera compassione del rammarico di que’ sposi, s’impegnò col Figlio e ne ottenne il miracolo della conversione dell’acqua in vino»[11].
Questo sguardo misericordioso non è venuto meno in Maria con la sua assunzione nella gloria. Tutt’altro: «Non corre già per Maria il comun proverbio: Honores mutant mores. Questo ben corre per li mondani, che innalzati a qualche dignità, s’insuperbiscono e si scordano degli amici antichi ma poveri; ma non per Maria, che si rallegra d’esser fatta più grande, per potere così meglio soccorrere i miserabili»[12].
L’universalità della misericordia di Maria, viene esplicitata da Alfonso paragonandola, insieme con S. Bonaventura, alla luce del sole: «Siccome lo splendor del sole avanza quello della luna, così la pietà di Maria or che sta in cielo, avanza la pietà che avea di noi allorché stava in terra… E chi mai vive nel mondo… che non goda della luce del sole? chi sopra cui non risplenda questa misericordia di Maria?»[13].
Alfonso può perciò concludere con S. Bernardo: «Maria si è fatta ogni cosa a tutti ed a tutti apre il seno della sua misericordia, acciocché tutti ne ricevano, lo schiavo il riscatto, l’infermo la salute, l’afflitto il conforto, il peccatore il perdono, Dio la gloria; e con ciò non vi sia, giacch’ella è sole, chi non partecipi del suo calore»[14].
Per questo nella preghiera, che chiude il capitolo, Alfonso si rivolge a Maria in questi termini: «O creatura tra tutte la più grande e più sublime, Vergine sacrosanta, vi saluto da questa terra io misero infelice ribelle del mio Dio, che merito castighi, non già grazie, giustizia, non misericordia. Signora, non dico ciò perché io sconfidi della vostra pietà. Io so che voi vi gloriate d’essere più benigna, quanto siete più grande. So che godete di esser così ricca, per farne parte anche a noi miserabili. So che quanto sono più poveri quelli che a voi ricorrono, voi tanto più v’impegnate a proteggerli e salvarli»[15].
Lo sguardo misericordioso viene posto da Alfonso a fondamento e a criterio distintivo del suo progetto missionario. La sua comunità missionaria infatti scaturisce dal recepire l’appello degli abbandonati: non passa accanto indifferente, perché presa da altre preoccupazioni, ma lo fa risuonare nel cuore, riprogettando il proprio cammino. Al termine di un laborioso processo di elaborazione della normativa, Alfonso delinea in questi termini ciò che deve specificare la comunità redentorista: «L’intento de’ Sacerdoti del SS.mo Salvatore è, per seguitare l’esempio del nostro comune Salvatore Giesù Cristo, d’impiegarsi principalmente sotto l’obbedienza degli Ordinarj de’ luochi nell’aiutare i paesi di campagna più destituiti di soccorsi spirituali. Saranno ad instar delle Congregazioni de’ PP. della Missione, e de’ Pij Operarj e Filippini. Ma col distintivo assoluto di dover sempre situar le loro chiese e case fuori dell’abitato e in mezzo alle diocesi, affine di andar girando con maggior prontezza colle missioni per i paesi d’intorno; ed affine insieme di porgere in tal modo più facilmente il commodo alla povera gente di accorrere a sentir la divina parola e prendere i sacramenti nelle loro chiese»[16].
Per la comunità redentorista lo sguardo misericordioso è la radice di tutto il suo dinamismo missionario. Essa infatti è chiamata a «indagare con diligenza quali sono gli uomini più bisognosi di aiuti spirituali, specialmente se poveri, deboli e oppressi, tenendo presenti le particolarità di ogni regione e l’organizzazione pastorale». I Redentoristi infatti «non possono lasciare inascoltato il grido dei poveri e degli oppressi, ma devono cercare tutti i mezzi per venire in loro aiuto, facendo sì che essi con le proprie forze possano superare i mali che li affliggono. Non manchi mai nel proclamare la parola di Dio questo elemento essenziale del Vangelo»[17].
Lo sguardo misericordioso sulla fragilità umana è anche alla base della proposta morale alfonsiana. Lo sottolinea lo stesso Alfonso ricordando la sua “conversione” dalle prospettive rigoriste, ricevute nella sua formazione: «in seguito, nel corso del lavoro missionario, abbiamo scoperto che la sentenza benigna è comunemente sostenuta da numerosissimi uomini di grande onestà e sapienza… Ne abbiamo perciò ponderato accuratamente le ragioni e ci siamo accorti che la sentenza rigida non solo ha pochi patroni e seguaci – e questi dediti forse più alle speculazioni che all’ascolto delle confessioni –, ma è anche poco probabile, se si vagliano i principi, e per di più circondata da ogni parte da difficoltà, angustie e pericoli. Al contrario abbiamo scoperto che la sentenza benigna è accettata comunemente, è molto più probabile dell’opposta, anzi probabilissima e, secondo alcuni, non senza un fondamento molto grave, moralmente certa»[18].
È quanto è stato evocato da Giovanni Paolo II, parlando di Alfonso come «il rinnovatore della morale»: «a contatto con la gente incontrata in confessionale, specialmente nel corso della predicazione missionaria, egli gradualmente e non senza fatica sottopose a revisione la sua mentalità, raggiungendo progressivamente il giusto equilibrio tra la severità e la libertà». È un equilibrio dettato dalla misericordia, che lo stesso Giovanni Paolo II vede sintetizzato da alcune «mirabili parole» della Theologia moralis alfonsiana: «Essendo certo, o da ritenere come certo… che agli uomini non si devono imporre cose sotto colpa grave, a meno che non lo suggerisca un’evidente ragione… Considerando la presente fragilità della condizione umana, non è sempre vero che sia più sicuro avviare le anime per la via più stretta, mentre vediamo che la chiesa ha condannato tanto il lassismo quanto il rigorismo»[19].
Lo sguardo misericordioso non solo si lascia interpellare dall’appello dei piccoli e dei poveri, ma rende capaci di ascoltare lo Spirito operante in loro. Permette perciò di partecipare alla gioia del Cristo: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza» (Lc 10,21).
È la prospettiva sottolineata da Papa Francesco: i poveri «hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro»[20].
Leggendo la fragilità umana innanzitutto come “malattia”, Alfonso pone in rilievo che la verità va considerata e proposta come medicina: non basta che essa risponda alla malattia, ma occorre che venga applicata alla luce delle effettive possibilità della persona. È sufficiente richiamare la sua risposta a coloro che ritenevano che il confessore è tenuto sempre e comunque ad ammonire il penitente: «dev’egli sì bene insegnar le verità, ma quelle sole che giovano, non quelle che recano la dannazione a’ penitenti». E questo perché il suo ministero è «officio di carità, istituito dal Redentore solamente in bene delle anime»[21].
Abbracciare nel cuore per rendere nuovi
Lo sguardo misericordioso di Maria è invito a ricorrere con fiducia a lei: ci fa sentire accolti, nonostante i nostri limiti e le nostre incoerenze, apre il cuore alla fiducia, proiettando su cammini nuovi. La sua premura materna ci è donata dal Padre perché non dubitiamo mai del suo perdono: ci fa sperimentare l’anticipo del suo abbraccio, che fa veramente tornare a casa il figlio prodigo: «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (Lc 15,20)[22].
L’accoglienza misericordiosa di Maria ritorna costantemente ne Le Glorie di Maria: «Quando Maria vede a’ suoi piedi un peccatore che viene a cercarle misericordia, non guarda ella i peccati che porta, ma guarda l’intenzione colla quale viene; se viene con buona intenzione, avesse quegli commessi tutti i peccati del mondo, ella l’abbraccia, e non isdegna l’amantissima madre di sanargli tutte le piaghe che porta nell’anima; poich’ella non solamente è da noi chiamata la madre della misericordia, ma veramente è tale, e tale si fa conoscere con l’amore e tenerezza con cui ci sovviene»[23].
Ed è proprio questa accoglienza misericordiosa, che guarda l’intenzione non ciò che si è commesso fino ad allora, che apre alla conversione e alla crescita nel bene. Si tratta veramente di una «verità di gran consolazione per le anime teneramente affezionate a Maria SS., e per li poveri peccatori che vogliono convertirsi»[24]. Quando infatti un «peccatore, benché non ancora uscito, si sforza però di uscire dal peccato, e cerca perciò l’aiuto di Maria, questa madre non lascerà di soccorrerlo e farlo tornare in grazia di Dio»[25].
Gli errori commessi non devono far dubitare dell’accoglienza misericordiosa di Maria: «il peccatore, stando in peccato, è odiato e cacciato da tutti; anche le creature insensate, il fuoco, l’aria, la terra vorrebbero castigarlo, e far la vendetta per risarcire l’onore del loro Signor disprezzato. Ma se questo miserabile ricorre a Maria, Maria lo discaccia? No, se egli viene con intenzione d’essere aiutato ad emendarsi, ella se l’abbraccia con affetto di madre; né lo lascia, se prima colla sua potente intercessione non lo riconcilia con Dio e lo rimette in sua grazia»[26].
«Maria si pone così per Alfonso come annunzio salvifico per eccellenza: la parola che dice come Dio sia misericordia; la parola che ricorda che nel Cristo Dio si è piegato su tutti, anche sui più miseri; la parola di perdono che apre il cuore alla decisione carica di amore per una vita nuova; la parola che rende la verità un cammino sul quale procedere fiduciosamente e secondo le possibilità fino alla pienezza. E tutto questo in maniera comprensibile e sperimentabile anche dai più poveri e dai più abbandonati»[27].
Da questa convinzione scaturiva la generosità di Alfonso nel promuovere la devozione mariana tra il popolo. Significativo quanto riportato dal primo biografo, A. Tannoia: «I Novatori, diceva Alfonso, spacciano come ingiuriosa a Dio la divozione verso Maria Santissima, negandole la possanza, ed impugnandone l’intercessione; ma spetta a noi far vedere per profitto de’ Popoli, quanto ella può presso Dio, e quanto sia grato a Dio vederla onorata»[28].
Per Papa Francesco «vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna»[29] sono atteggiamenti indispensabili per una valida evangelizzazione. «La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre… Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa»[30].
Per Alfonso l’accoglienza misericordiosa costituisce un tratto distintivo della dinamica evangelizzatrice della sua comunità: dovrà progettare la sua collocazione, la sua struttura e il suo ritmo di vita per «porgere più facilmente il commodo alla povera gente di accorrere a sentir la divina parola e prendere i sacramenti nelle loro chiese». Permettere ad ognuno di incontrare personalmente i missionari nel sacramento della riconciliazione, sarà perciò il criterio fondamentale per determinare la durata di una missione popolare: Alfonso, ricorda il Tannoia, «anche ne’ loghetti di poche Anime, vi si tratteneva i giorni quindeci; ma nelle Città grandi, e popolate, i venti, e ventidue, e talvolta il mese intero». Voleva infatti che «tutto il Popolo si fosse confessato da’ nostri». Perciò «non usciva in Missione, se non aveva soggetti in numero proporzionato al paese; e nelle Missioni grandi arrivava a portare i diciotto, e venti, e talvolta di vantaggio»[31].
Far sperimentare l’abbraccio accogliente e convertente del Padre deve essere la preoccupazione fondamentale soprattutto del confessore: «Il confessore, per adempire la parte di buon padre, dev’esser pieno di carità. E primieramente dee usar questa carità nell’accogliere tutti, poveri, rozzi e peccatori… quando si accosta un di costoro, se 1’abbracciano dentro il cuore e si rallegrano quasi victor capta praeda, considerando di aver la sorte allora di strappare un’anima dalle mani del demonio. Sanno che questo sagramento propriamente non è fatto per 1’anime divote, ma per li peccatori… Sanno che Gesù Cristo si protestò dicendo: Non… veni vocare iustos, sed peccatores (Mc 2,17). E perciò, vestendosi di viscere di misericordia, come esorta l’Apostolo, quanto più infangata di peccati trovano quell’anima, tanto maggior carità cercano d’usarle, affin di tirarla a Dio»[32].
Espressione privilegiata di tale accoglienza è l’ascolto: «Maggiormente poi dee il confessore usar carità nel sentirlo. Bisogna pertanto ch’egli si guardi di mostrar impazienza, tedio o maraviglia de’ peccati che narra; se pure non fosse così duro e sfacciato che dicesse molti e gravi peccati senza dimostrarne alcun orrore o rincrescimento, perché allora è di bene fargli intendere la loro deformità e moltitudine, bisognando allora svegliarlo dal suo mortal letargo»[33].
Ascoltare significa guardare il vissuto dall’angolazione della persona e non da quella delle formulazioni e delle norme. Questo non per legittimare la fragilità, ma per far emergere le possibilità di guarigione e di cammino, che lo Spirito sta già anticipando. Solo in questa maniera la verità potrà risultare effettivamente “salutare”[34]. Comprenderemo allora, come sottolinea Papa Francesco, che «senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno. Ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile. Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà. A tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute»[35].
Evangelizzare è sempre un fatto di cuore: un cuore che accoglie, condivide, ascolta, apre il vissuto a una lettura diversa, fa nuovamente ardere il cuore. Come il Cristo con i discepoli sulla strada di Emmaus (cf Lc 24,13-35). Il riferimento al mistero materno di Maria è un richiamo costante a questa necessità: un richiamo che anche i più fragili sperimentano come speranza.
Sarà allora possibile l’autentica conversione. Nel Foglietto, in cui sintetizza «le cose più necessarie al comun profitto», che devono caratterizzare la predicazione missionaria, Alfonso scrive: «Bisogna persuadersi che le conversioni fatte per lo solo timore de’ castighi divini son di poca durata; durano solamente per quanto dura la forza di quel timore conceputo; ma allorché il timore manca all’anima rimasta debole per li peccati commessi, ad ogni nuovo urto di tentazione facilmente ritornerà a cadere… L’impegno principale del predicatore nella missione ha da esser questo, di lasciare in ogni predica che fa i suoi uditori infiammati del santo amore»[36].
Lo sguardo misericordioso di Maria sostiene e incoraggia, anche quando rischiamo di sentirci prigionieri della nostra debolezza. Per questo, continua Alfonso, «nella missione bisogna parimente spesso insinuare la divozione verso la divina Madre. Questa divozione non è una di quelle che si chiamano di semplice supererogazione, secondo parlano molti santi e tutti i maestri di spirito; ella si reputa necessaria per la salute eterna, non di necessità assoluta, ma almeno di necessità morale: onde si fa mal prognostico di taluno che vive abitualmente alieno da tal divozione». E conclude con S. Bernardo: «Onde molto si dee temere della salute di taluno che poco stima la divozione verso la b. Vergine e trascura di procurarsi la sua intercessione; poiché costui, secondo il sentimento di s. Bernardo, si chiude il canale delle grazie alla sua salute necessarie. E ciò è quello che sopra tutto deve inculcare il predicatore»[37].
[1] Le Glorie di Maria. Introduzione, in Opere ascetiche, vol. VI, Roma 1935, 19.
[2] Ivi, Supplica dell’autore a Gesù e Maria, 9.
[3] S. Alfonso Maria de Liguori, Carteggio, a cura di G. Orlandi, vol. I, Roma 2004, 324.
[4] Lettere, vol. I, Roma 1887, 177.
[5] Cf quanto ho suggerito in «La teologia morale nell’insieme del pensiero alfonsiano», in Studia moralia 25 (1987) 79-103; «Misericordia e teologia morale: il contributo della visione alfonsiana», in S. Wodka (ed.), Inaugurazione Anno Accademico2014-1015, Roma 2015, 45-63.
[6] Misericordiae vultus, n. 2.
[7] Ivi, n. 24.
[8] Le Glorie di Maria…, 241-253,
[9] Ivi, 241,
[10] Ivi, 242.
[11] Ivi, 243.
[12] Ivi, 244.
[13] Ivi, 244-245.
[14] Ivi, 246.
[15] Ivi, 253.
[16] Spicilegium Historicum CSSR 16 (1968) 385; cf S. Majorano, «”Idea” dell’Istituto», in D. Capone – S. Majorano, I redentoristi e le Redentoriste. Le radici, Materdomini 1985, 349-424; «Testi regolari anteriori al 1749», in F. Chiovaro (a cura), Storia della Congregazione del Santissimo Redentore, vol. I/I. Le Origini, Roma 1993, 431-451.
[17] Costituzioni e Statuti CSSR, Roma 1986, n. 09.
[18] Dissertatio scholastico‑moralis pro uso opinionis probabilis in concurso probabilioris, in Dissertationes quatuor pro usu moderato opinionis probabilis, Monza 1832, 77-78.
[19] Spiritus Domini, in AAS 79 (1987) 1367-1368.
[20] Evangelii gaudium, n. 198.
[21] Istruzione e pratica pei confessori, cap. XVI, punto VI, n. 110, in Opere, vol. IX, Torino 1861, 415; cf A. V. Amarante, «“Pratica del Confessore per ben esercitare il suo ministero”», in Studia Moralia 45 (2007) 349-376; S. Majorano, «Sant’Alfonso Maria de’ Liguori: il confessore “officio di carità istituito dal Redentore solamente in bene delle anime», in Chiesa e storia 1 (2011) 285-306; «Il metodo del dialogo di salvezza», in Orientamenti pastorali 61/5 (2013) 35-44.
[22] «Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia» (Evangelii gaudium, n. 3).
[23] Le Glorie di Maria, cap. I, § IV, 67. Il paragrafo ha come titolo: «Maria è madre anche de’ peccatori pentiti».
[24] Ivi, Avvertimento al lettore, 12-13.
[25] Ivi, cap. I, § IV, 65.
[26] Ivi, 69.
[27] S. Majorano, «La teologia morale nell’insieme del pensiero alfonsiano», in Studia moralia 25 (1987)102.
[28] Della vita ed istituto del Venerabile Servo di Dio Alfonso M.a Liguori, tomo I, Napoli 1798, 316.
[29] Evangelii gaudium, n. 165.
[30] Ivi, n. 47.
[31] Op. cit., 308.
[32] Pratica del confessore, cap. I, § 1, n. 3, Frigento 1987, 5-6. In Misericordiae vultus Papa Francesco ricorda: «Ogni confessore dovrà accogliere i fedeli come il padre nella parabola del figlio prodigo: un padre che corre incontro al figlio nonostante avesse dissipato i suoi beni. I confessori sono chiamati a stringere a sé quel figlio pentito che ritorna a casa e ad esprimere la gioia per averlo ritrovato» (n. 17).
[33] Pratica del confessore…, n. 4, 7.
[34] Nei riguardi anche delle situazioni di fragilità familiare la Relatio finale del Sinodo Straordinario 2014 ha sottolineato che «occorre accogliere le persone con la loro esistenza concreta, saperne sostenere la ricerca, incoraggiare il desiderio di Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della Chiesa anche in chi ha sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni più disparate. Il messaggio cristiano ha sempre in sé la realtà e la dinamica della misericordia e della verità, che in Cristo convergono» (n. 11). Perciò «ogni famiglia va innanzitutto ascoltata con rispetto e amore facendosi compagni di cammino come il Cristo con i discepoli sulla strada di Emmaus» (n. 46).
[35] Evangelii gaudium, n. 44.
[36] Selva di materie predicabili. Appendice, punto I, n. 1, in Opere, vol. III, Torino 1847, 288.
[37] Ivi, punto II, n. 1 e 4, 289 e 291.
Sabatino Majorano