I. L’esperienza del silenzio di Dio

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(dal Blog dell’Accademia Alfonsiana)

Il 27 marzo, i cristiani hanno pregato con Papa Francesco per chiedere la fine di questa epidemia che continua. Colpisce sempre il silenzio dell’uomo, ma colpisce molto di più il silenzio di Dio; il primo può essere un atteggiamento problematico, l’altro resta sempre un mistero. Se Dio tace, significa che dobbiamo riflettere su ciò che ha detto in precedenza. Dio non tace per sempre, ma agisce in modo corretto; nella storia del popolo eletto, ha osservato il silenzio per alcuni periodi, che hanno un significato ora pazienza ora di rimprovero.

Dopo la morte di Giosia (638-609 a. C.), il pio re di Giuda, i nuovi governanti si dimostrarono indegni di questa chiamata, e portarono il popolo fuori strada. La richiesta di pentimento e di riforma venne trascurata dalla maggior parte degli abitanti del paese. La situazione di crisi richiese uno sforzo di vasta portata.

Geremia (626-587 a. C.), che esercitò in quel periodo il suo ministero profetico, sotto la guida di Dio, ricordò al popolo eletto la sua storia, a partire dalla liberazione dalla schiavitù d’Egitto e dall’alleanza che Dio aveva stretto con gli israeliti: “(…) Ascoltate la mia voce! Allora io sarò il vostro Dio, e voi sarete il mio popolo; e camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici. Ma essi non ascoltarono né prestarono orecchio; anzi precedettero secondo l’ostinazione del loro cuore malvagio e invece di voltarmi la faccia mi han voltato le spalle” (Ger 7, 23-24). Chi ascoltò il discorso di Geremia comprese questo riferimento al tempo di Eli, il sommo sacerdote, ultimo giudice d’Israele, quando i Filistei sconfissero gli israeliti e presero l’arca dell’alleanza.

Nel Primo Libro di Samuele leggiamo: “(…) La parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti” (1Sam 3,1). Questa frase rimanda alla decadenza spirituale della casa di Eli, già condannato dall’uomo di Dio (1Sam 2, 27-36). Il periodo di Cofni e Pincas, i due figli di Eli, fu infatti un periodo di corruzione e di malcostume. Il loro peccato consisteva nella mancanza di rispetto per le sacre azioni liturgiche che essi officiavano come sacerdoti e nel calpestare i doni portati a Dio. La insufficienza di rispetto era una manifestazione esteriore della mancanza di amore e di riverenza nei confronti di Dio. Il loro comportamento allontanò gli israeliti da Dio; i loro peccati legati all’offerta di sacrifici erano rivolti direttamente contro Dio e non potevano trovare giustificazione alcuna. Eli ammoniva sì i suoi figli ma non esercitava su di loro pressione alcuna né   sanzionava il loro comportamento. La punizione che li colpì consisté nella rimozione dal sacerdozio. Il sacerdozio fu levato definitivamente dalla famiglia di Eli e venne dato alla famiglia di Sadok (1Sam 2, 35), che l’esercitò per oltre cinque secoli, a partire dai tempi di Salomone.

Il silenzio di Dio era certamente misterioso, ma eloquente; dinanzi ad esso Israele si sentì scosso e si impegnò a ritornare a Dio. La condizione fondamentale per accogliere la volontà di Dio e adempierla è il desiderio di ascoltarla. Non possiamo guardare all’azione del Signore Dio in modo semplicistico. Dio, che noi conosciamo in Gesù Cristo, non rimuove dalla nostra vita, come con una bacchetta magica, la sofferenza, la malattia e la morte, ma entra in queste esperienze dolorose e resta accanto a noi nel periodo della prova. L’azione di Dio non si può ridurre a quella di un farmaco; certo, ma anche di fermare la pandemia. Nella pandemia Dio è negli ammalati, nei moribondi, nei medici, nei volontari, in ciascuno di noi, poiché in ciascuno di noi si rivela come Amore. Egli resta in noi e con noi quando superando il nostro egoismo, noi andiamo da Lui e ci accostiamo agli altri, per amore suo, nel momento del bisogno.

Gabriel Witaszek cssr