Dignitas infinita

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L’articolo dal Blog dell’Accademia Alfonsiana

Dopo un iter piuttosto laborioso e un intervento diretto del Santo Padre che chiedeva di “evidenziare nel testo tematiche strettamente connesse al tema della dignità, come ad esempio il dramma della povertà, la situazione dei migranti, le violenze contro le donne, la tratta delle persone, la guerra”, l’8 aprile 2024 è stata pubblicata la dichiarazione Dignitas infinita. La categoria di dignità non ha le connotazioni religiose della categoria di sacralità e la sua scelta, come cardine ideale del documento, può essere intesa come il tentativo di impostare un dialogo con la cultura secolare. Il rispetto della dignità delle persone rappresenta, infatti, un principio “che è pienamente conoscibile anche dalla sola ragione” (DI, n. 1) e che ha avuto un’autorevole eco nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. La dignità della persona è un dato originario e sulla sua accoglienza è possibile costruire un’autentica fraternità universale.

La dichiarazione è ben consapevole che la nozione di dignità è polisemica e non è da tutti compresa in modo univoco, portando talora a scelte e atteggiamenti fatti in nome della dignità umana che ad altri sembrerebbero in aperta contraddizione con una comprensione più retta. Basti pensare all’idea di alcuni che il suicidio assistito e l’eutanasia siano due modalità per lasciare la vita “con dignità”. Per questo la dichiarazione offre in limine “un chiarimento fondamentale” e spiega che esiste una quadruplice articolazione del concetto di dignità: ontologica, morale, sociale ed esistenziale (cf. DI, n. 7). “Il senso più importante è quello legato alla dignità ontologica”, vale a dire la dignità che compete ad ogni essere umano per il solo fatto di esistere, indipendentemente dal suo agire in conformità o no alla propria dignità, indipendentemente dalle situazioni socio-economiche nelle quali vive una persona e dalle condizioni esistenziali, talvolta disperate, che sperimenta.

Dopo l’Introduzione, la dichiarazione si articola in quattro grandi arcate.

Nella prima parte, Una progressiva consapevolezza della centralità della dignità umana, si traccia un’agile ricognizione del tema della dignità nella Bibbia, nel pensiero cristiano e nella cultura odierna. Sono pagine dense e pensose nelle quali merita sottolineare, da una parte, le radici bibliche della dignità umana e dall’altro l’apporto che è venuto dal pensiero filosofico moderno e contemporaneo per illuminare e approfondire anche in campo teologico il tema della dignità umana (cf. DI, n. 13). La dichiarazione evoca così un movimento ideale che si sostanzia di una luce potente sull’uomo proveniente dalla Rivelazione, ma allo stesso tempo trae linfa vitale dalla riflessione razionale sul valore dell’essere umano in un dialogo difficile, ma fecondo (cf. DI, n. 32). La Chiesa deve confessare le sue fatiche e incoerenze nella fedeltà alla dignità umana – basti pensare alla accettazione della schiavitù o della pena di morte – ma siamo davanti a un processo di crescita. “Lo stesso Magistero ecclesiale ha maturato con sempre maggior compiutezza il significato di tale dignità, unitamente alle esigenze ed alle implicazioni ad esso connesse, giungendo alla consapevolezza che la dignità di ogni essere umano è tale al di là di ogni circostanza” (DI, n. 16). L’abbondanza di rimandi al Magistero conciliare e postconciliare nelle note è indice di un interesse non episodico per il tema della dignità umana.

La coscienza ecclesiale contemporanea è espressa nella seconda parte che reca un titolo significativo: la Chiesa annuncia, promuove e si fa garante della dignità umana. Una prima convinzione è quella dell’immagine di Dio che è impressa in modo indelebile in ogni essere umano e che abbraccia tutto l’uomo, anima e corpo. La seconda convinzione è che il Signore Gesù, facendosi uomo ha confermato ed innalzato la dignità della nostra natura umana e, con la Parola e le opere, si è fatto garante e difensore della dignità degli “indegni”. Imitando il Cristo, la Chiesa è sempre stata e deve essere sempre più dalla parte degli ultimi: “i neonati abbandonati, gli orfani, gli anziani lasciati soli, i malati mentali, le persone affette da malattie incurabili o con gravi malformazioni, coloro che vivono per strada” (DI, n. 19). La terza convinzione è che ogni essere umano ha una vocazione alla pienezza della dignità che inizia nella storia e si compie nel Regno.

La dignità – e questa è la terza parte della dichiarazione – è “fondamento dei diritti e dei doveri umani”. Si registrano in questo campo fraintendimenti e distorsioni che portano a situazioni di discriminazione e di lesione della dignità, soprattutto degli esseri umani strutturalmente più deboli, come i bambini non ancora nati o i disabili o i vecchi non autosufficienti. “La Chiesa […] insiste sul fatto che la dignità di ogni persona umana, proprio perché intrinseca, rimane “al di là di ogni circostanza”, ed il suo riconoscimento non può assolutamente dipendere dal giudizio sulla capacità di intendere e di agire liberamente delle persone. […] Solo riconoscendo all’essere umano una dignità intrinseca, che non può mai essere perduta, è possibile garantire a tale qualità un inviolabile e sicuro fondamento” (DI, n. 24). Questa dignità è detta “infinita” a partire dal titolo della dichiarazione, rimandando a un saluto di san Giovanni Paolo II a un gruppo di persone disabili in Germania nel 1980. “Dio – egli disse – ci ha mostrato con Gesù Cristo in maniera insuperabile come egli ama ciascun uomo e gli conferisce con ciò una dignità infinita (unendliche)”. L’aggettivo “infinito” potrebbe suonare inappropriato se riferito a una realtà umana che, per sua natura, è limitata, ma la dignità umana risulta infinita perché è radicata nell’amore benevolo di Dio rivelato in Cristo: questo è il polo dell’infinito. Essa è infinita anche perché senza confini, sconfinata e incondizionata, ed è infinita perché è un dono di Dio che diventa compito inesauribile, mai del tutto compiuto, compito infinito, appunto, per ogni uomo e ogni donna di buona volontà. Noi suggeriamo questa lettura dinamica della dignità umana per evitare di assumere la categoria dignità con una valenza statica e normativa, in modo quasi giusnaturalistico, mentre essa deve restare un orizzonte di senso per i percorsi personali e collettivi che sono sempre immersi nella storia e nelle storie, e male si prestano ad essere valutati e compresi secondo una logica applicativa e deduttiva. Pur apprezzando l’enfasi sull’aspetto ontologico della dignità in quanto inerente ad ogni essere umano, indipendentemente da ogni altra qualità accidentale (cfr. DI, n. 9), non possiamo, per questo, tralasciare la lezione kantiana che lega la dignità all’autonomia della persona. La dignità in Kant è la qualità di un essere razionale “il quale non obbedisce ad alcuna altra legge che non sia quella che egli stesso contemporaneamente dà a se stesso”[1]. È importante, a questo proposito, la sottolineatura della dichiarazione sulla necessità di comprendere la libertà personale alla luce della struttura relazionale della persona così da evitare una deriva “autoreferenziale e individualistica” della libertà (DI, n. 26), mentre più discutibile – a nostro avviso – è il modo di spiegare il nesso della libertà con la verità per il rischio di cadere in una franca eteronomia.

Alla luce dei tre capitoli fondativi, la dichiarazione presenta situazioni altamente problematiche nelle quali è messa a rischio e ferita la dignità delle persone. Sono problemi concreti e caldi, caratteristici delle preoccupazioni pastorali di papa Francesco e riflesso della sua sensibilità. Non c’è dubbio che i Sommi Pontefici prima di lui, san Giovanni Paolo II in testa, hanno mostrato grande attenzione per le grandi questioni sociali, economiche e politiche, ma l’ansia pastorale di papa Francesco, la sua insistenza, la sua partecipazione anche emotiva sono un esempio trascinante per tutta la Chiesa. Benché la quarta parte quasi eguagli in estensione le precedenti, la molteplicità delle questioni trattate, dalla povertà alla guerra, dalla tratta delle persone agli abusi sessuali e le violenze contro le donne, dall’aborto alla maternità surrogata, dall’eutanasia allo scarto dei disabili, dalla teoria del gender e il cosiddetto cambio di sesso alla violenza digitale, impedisce una trattazione soddisfacente. La rassegna delle situazioni che feriscono la dignità umana è senza dubbio stimolante e ben rappresenta le sfide del nostro tempo, ma si tratta di tematiche bisognose di argomentazioni ampie e attente alla concreta esperienza morale delle persone. I rischi di ipersemplificazione e di intellettualismo sono incombenti e ne soffrono alcuni temi più complessi come quello del gender (DI, n. 55). Se, per esempio, la dichiarazione denuncia, giustamente, le violenze e le discriminazioni ai danni delle persone omosessuali ribandendo che “ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto” (Catechismo, n. 2358 citato da Amoris laetitiœ, n. 250), non si comprende la condanna degli interventi operati nella disforia di genere quando non siano possibili altre terapie per ricomporre l’armonia fra interiorità ed esteriorità della persona. Sembra che gli interventi di adeguamento dell’aspetto corporeo all’identità di genere discrepante siano frutto di un capriccio insano e arbitrario, e vengono respinti in nome dell’intangibilità del corpo così che per rispettare una astratta dignità del corpo si può arrivare a sacrificare la serenità di una persona. La dichiarazione probabilmente vuole prendere le distanze da coloro che parlano di autodeterminazione nei confronti del corpo sessuato, come se fosse una oggetto plasmabile a volontà, ma l’enfasi polemica ha portato a colpire in modo indistinto i teorici estremi del gender e le persone sofferenti per la disforia.

Essendo il tema della dignità umana profondamente cristiano, ma di capitale importanza anche nel mondo laico, esso può diventare terreno di dialogo e confronto con la cultura contemporanea, ma bisogna evitare condanne affrettate, affermazioni sloganistiche, valutazioni univoche e prive di sfumature. D’altra parte, la dichiarazione stessa ce lo ha detto: stiamo crescendo nella percezione della profondità della dignità umana e delle sue conseguenze per la vita nostra e della comunità umana. Un’etica in cammino.

Maurizio Pietro Faggioni, ofm

[1] I. Kant, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten (1785), in Kant’s gesammelte Schriften, Königlich Preußische Akademie der Wissenschaften, vol. IV, 434.