Ucraina, padre Heleta: “Lì percepivo la preghiera della Chiesa”

0
99

Dopo 3 anni di guerra Scala News offre la testimonianza di un confratello su quello che il Santo Padre ha definito proprio ieri “una ricorrenza dolorosa e vergognosa per l’intera umanità!”.

Padre Bohdan Heleta CSsR, racconta ai media vaticani la sua esperienza di fede durante la sua prigionia in carcere: “E’ stato molto difficile, ma la motivazione che mi ha permesso di sopportare il dolore è stata di offrirlo per salvare i nemici”.

«Cosa mi ha aiutato a resistere? È semplice: Dio”. Con queste parole, il nostro confratello riassume la sua esperienza di prigionia russa. Padre Heleta, assieme ad un altro redentorista, padre Ivan Levytskyi, è stato arrestato il novembre 2022 nella città di Berdyansk, nell’Ucraina meridionale. A quel tempo, la città era sotto l’occupazione russa da nove mesi. Per lungo tempo dopo il loro arresto, non si sono avute informazioni sulla loro sorte. Poi il 28 giugno 2024 entrambi sono stati rilasciati.

Una prova di fede

L’incontro online con padre Bohdan di giovedì 20 febbraio 2025, con la partecipazione del nunzio apostolico in Ucraina, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, è stato organizzato nel contesto del terzo anniversario dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia. Parlando ai partecipanti all’incontro, il sacerdote si è concentrato sugli aspetti spirituali della difficile esperienza di oltre un anno e mezzo di prigionia. Tutto quanto gli è accaduto il sacerdote redentorista lo considera una prova di fede, di quelle che ogni cristiano sperimenta nel corso della sua vita. «La guerra in corso in Ucraina, quello che sta accadendo al nostro popolo, è veramente terribile – ha detto – ma sappiamo dalle Scritture e sappiamo che Cristo ha detto che queste prove devono arrivare».

La forza dall’alto

Il religioso ha sottolineato che la motivazione che gli ha permesso di sopportare il dolore è stata di offrirlo per «salvare i nemici». «E ringrazio Dio per avermi dato l’opportunità di essere lì»  anche se, ha ammesso, «è stato molto difficile in un ambiente di brutale disprezzo per la persona umana, dove si ha la costante sensazione di trovarsi in un luogo di morte. In un ambiente del genere, una persona vuole solo morire. Nessuno dei prigionieri ha paura della morte, quello che teme è di subire torture sul corpo, di essere maltrattato. Ringrazio Dio per avermi dato la forza di unire queste torture a Cristo, alla sua sofferenza, al cammino di Cristo. E questo non è un mio merito, ma solo merito del Signore. È in questa debolezza che Lui dà forza. Lì percepivo la preghiera della Chiesa, la Chiesa in tutte le sue dimensioni. Non posso spiegarlo… In realtà, questa è la risposta alla domanda su cosa mi ha aiutato a resistere. È semplice: Dio. E sono molto tormentato dal fatto che altri prigionieri che non conoscevano Dio, non riuscivano a sopportare tutto e ci sono stati casi di suicidio e altre cose dolorose. Tutto questo rimarrà nella mia memoria e non potrò mai dimenticare quei gemiti, quelle agonie, ogni tipo di maltrattamenti. Ma lo dedico anche per la salvezza degli altri, per testimoniare che solo Dio può santificarci se facciamo un passo dalle tenebre alla luce».

Vietato sederci

iPadre Heleta ha raccontato che lui e padre Ivan Levytskyi erano detenuti in una prigione di guerra. C’erano circa milleottocento prigionieri e loro due sacerdoti erano gli unici civili. Questi erano stati tacciati di terrorismo con la falsa accusa che nella loro casa erano state trovate delle armi. Condividendo il destino degli altri prigionieri di guerra ucraini, padre Bohdan ha cercato di sostenerli. «Non ho potuto aiutare tutti, solo quelli con cui ero direttamente in caserma insieme a me, circa 200 prigionieri. Ma ho chiesto al Signore di abbracciare tutti con il suo amore e la sua misericordia», ha detto il religioso. Questo sostegno era limitato perché, ha spiegato, era proibito, considerato una violazione del regime della prigione. «Dunque veniva offerto in modo privato, mentre camminavamo intorno a un piccolo cortile (60 metri per 40). Alle 6 del mattino ci facevano uscire dalla caserma e fino alle 22 ci era vietato rientrarci, vietato sederci o sdraiarci: dovevamo stare in piedi, camminare tutto il giorno. E così, dove ci incontravamo, potevamo comunicare, riuscivo anche a confessare».

Il Vangelo di nascosto

Padre Bohdan racconta di aver chiesto al referente della caserma (un prigioniero nominato dall’amministrazione della colonia) il permesso di tenere una breve preghiera al mattino e alla sera. «Lui ha accettato – ha raccontato il religioso – anche se correva un rischio. Così, per cinque minuti al mattino, prima di uscire dicevamo una breve preghiera e leggevamo il Vangelo. E la stesa cosa la sera prima di andare a dormire. Ancora oggi mi stupisco come questo sia stato possibile, perché era pericoloso. Ringrazio Dio di averlo potuto fare».

Durante la conversazione con padre Bohdan Heleta, i giornalisti dei media vaticani sono stati colpiti dalla pace interiore che traspariva dal sacerdote. Nonostante tutto quello che aveva vissuto nell’anno e mezzo di prigionia, nel raccontarlo non ha usato una sola parola di accusa contro i suoi carcerieri. «Il Signore Dio guarisce tutto con la sua grazia. Una persona che è in grazia – ha osservato – non può usare parole di insulto o di odio in risposta. Anche se, lo ammetto, ci sono stati momenti di disperazione, però non era una disperazione totale… Era una profonda tristezza: una sensazione di non volere più nulla. Uno vuole solo lasciare questo mondo. Tristezza per il fatto che persone create a immagine e somiglianza di Dio siano capaci di fare cose del genere. E molti di loro sono convinti di fare del bene. Ma come si può fare del bene torturando qualcuno?».

Il senso della sofferenza

Uno dei partecipanti all’incontro ha sollevato la questione di come un credente, e non solo un sacerdote, dovrebbe percepire la sofferenza. «La risposta – ha detto padre Bohdan – è molto semplice: Cristo come uomo non voleva morire. Ha pianto, ha chiesto che gli fosse risparmiato questo calice, però ha detto a Dio: “Voglio compiere la tua volontà”. Noi non vogliamo soffrire, ma vogliamo fare la Sua volontà. E qual è la volontà del Padre celeste? È il regno di Dio, che tutti siano salvati. Quindi non possiamo evitare la sofferenza, perché Dio Uomo, la seconda Persona di Dio, ci ha mostrato la strada. E io credo fortemente in questo, non solo come sacerdote, ma come semplice persona. Credo in Cristo, che è mio amico e salvatore”.

(vaticannews.va – Scala News)

Si può leggere il testo originale: “Ucraina, padre Heleta: in prigione, fra le torture, Dio mi ha tenuto in piedi”