La cura e l’attenzione per la vita della persona e della famiglia, devono guidare ogni scelta pastorale della comunità cristiana ed ispirare una creatività missionaria che sappia abbracciare tutte le situazioni concrete per formare coscienze in grado di crescere nella fiducia.
Intervenendo al Convegno Diocesano di Roma dedicato all’approfondimento dell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia, Papa Francesco ha indicato nel rispetto per la coscienza della persona, l’atteggiamento che deve guidare ogni scelta pastorale della comunità cristiana: «La vita di ogni persona, la vita di ogni famiglia dev’essere trattata con molto rispetto e molta cura». Occorre, infatti, non dimenticare mai, ha proseguito il Pontefice, che «le nostre famiglie, le famiglie nelle nostre parrocchie con i loro volti, le loro storie e con tutte le loro complicazioni, non sono un problema, sono una opportunità che Dio ci mette davanti.
Un’opportunità che ci sfida a suscitare una creatività missionaria capace di abbracciare tutte le situazioni concrete».
Per questo motivo, l’Amoris laetitia è un invito pressante a tutta la comunità cristiana, e particolarmente a tutti i pastori, a crescere nel rispetto e nella fiducia nei riguardi delle coscienze: «Stentiamo a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (Amoris laetitia, 37). E questo vale anche per le situazioni familiari caratterizzate da fragilità o inadeguatezza: «La coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa in alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio». Occorre, perciò, «incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia» (ivi, 303).
Il rispetto per le coscienze e l’impegno costante per la loro formazione hanno ispirato sant’Alfonso in tutto il suo impegno pastorale. Abbandonato il foro napoletano, per aver costatato che la giustizia non riesce sempre a sottrarsi al condizionamento dei potenti, si è fatto avvocato delle coscienze, soprattutto dei deboli e degli abbandonati. Gli stava soprattutto a cuore il diritto/dovere alla santità di tutti i battezzati: «È un grande errore – scriveva nella Pratica di amar Gesù Cristo – quel che dicono alcuni:
Dio non vuol tutti santi. No, dice S. Paolo: “Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione” (1Ts 4,3). Iddio vuol tutti santi, ed ognuno nello stato suo, il religioso da religioso, il secolare da secolare, il sacerdote da sacerdote, il maritato da maritato, il mercadante da mercadante, il soldato da soldato, e così parlando d’ogni altro stato».
Partendo dal rispetto del diritto dei poveri alla santità, sant’Alfonso ha ripensato la prassi cristiana incarnandola nella quotidianità del popolo, spesso segnata da fragilità e disagi che spingono al compromesso:
«Ha suggerito al popolo – ha scritto don Giuseppe De Luca – i termini più alti nelle formole più umili, gli affetti più estatici nei vocaboli più quotidiani. Ha creato, nei semplici, un cuore di santi e grandi santi».
Il suo primo biografo, Antonio Maria Tannoia, ricorda quale ultima gioia di Alfonso, ormai vicino alla morte, il venir a sapere che, grazie alla pastorale popolare delle Cappelle serotine, da lui suscitate, la santità era di casa tra vicoli di Napoli: «Cocchieri santi a Napoli… Gloria Patri!… Voi l’avete inteso… Gloria Patri, cocchieri santi a Napoli!».
Anticipare fiducia è l’unica strada per creare responsabilità. I genitori questo lo sanno molto bene: solo facendo così, stimolano i figli a diventare persone mature e responsabili. Dovremmo improntare maggiormente a questo anticipo di fiducia i nostri rapporti, non solo quelli interpersonali ma anche quelli sociali: non si tratta di ingenuità, che si illude di poter chiudere gli occhi di fronte alla durezza di tante situazioni o dimentica le esigenze del bene comune. Si tratta, invece, di promuovere risposte veramente umane, che non mirano al successo immediato, ma sanno guardare in avanti preoccupandosi di costruire futuro.
Per questo motivo, il rispetto per le coscienze non è mai buonismo pronto a legittimare ogni cosa, tanto meno disinteresse o indifferenza: è sempre cura reciproca e solidarietà per la loro formazione. Secondo sant’Alfonso, il rispetto deve essere sempre missionario: sentirsi, cioè, corresponsabile della coscienza degli altri e porsi al suo fianco per stimolarla alla maturità e sostenerla nel cammino verso la verità e il gusto del bene.
Significativo il richiamo che, nella Pratica del confessore, egli faceva ai sacerdoti che non erano pronti a farsi carico di quelli che la vita aveva reso moralmente più vulnerabili:
«Non fanno così i buoni confessori: quando si accosta un di costoro, se l’abbracciano dentro il cuore e si rallegrano, considerando di aver la sorte allora di strappare un’anima dalle mani del demonio». E questo perché il confessore è innanzitutto padre: «per adempire la parte di buon padre, dev’esser pieno di carità. E primieramente dee usar questa carità nell’accogliere tutti, poveri, rozzi e peccatori».
Troppe volte oggi l’indifferenza nei riguardi della coscienza degli altri viene camuffata come rispetto nei suoi riguardi. Diventa, perciò, ancora più urgente testimoniare che solo prendendosi cura della coscienza degli altri, la si rispetta veramente.
Del resto, il credente è convinto che fare diversamente significa ripetere la scelta violenta di Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9).
smajorano@alfonsiana.org
da:
in cammino con
San Gerardo
il mensile della Famiglia Redentorista (marzo 2017)