Communicanda IV – 1997-2003
COMMUNICANDA N° 4
Prot. N° 0000 292/01
Roma, 31 marzo 2002
Risurrezione del Signore
Carissimi confratelli,
Sono lieto di offrire alla Congregazione questa prima Communicanda del nuovo millennio. Vi invito a unirvi a me nel riconoscere un segno di speranza; che colgo nella Congregazione. Sicuramente, ci sono molte ragioni per guardare verso il futuro con fiducia. Con questa lettera ne vorrei suggerire una sola alla vostra riflessione. Vedo un crescente spirito di solidarietà nella Congregazione: un’unità di cuori che aumenta e sottolinea i legami che uniscono la famiglia Redentorista nel mondo e che ci consente un’attività apostolica più efficace.
Perché scrivo questa lettera?
La solidarietà di cui parlo è insieme il risultato del rinnovamento compiuto nella Congregazione negli ultimi quaranta anni e anche un frutto delle forze di globalizzazione che operano per formare il nostro mondo. Penso che dobbiamo riconoscere gli sviluppi positivi attualmente presenti nella vita della nostra Congregazione e scrutare insieme l’avvenire per discernere la volontà di Dio sul nostro Istituto.
Una riflessione sulla solidarietà dovrebbe interessarci ancora di più in questo periodo durante il quale continuiamo a lavorare sul tema di questo sessennio. La nostra spiritualità ci aiuta a rispondere “a domande fondamentali e spesso scomode: Chi siamo? Per che cosa esistiamo? Come dobbiamo vivere?” (Communicanda 2, gennaio 1999, n .8). Credo anche che una riflessione sulla solidarietà ci conduca a chiederci: come siamo in relazione gli uni con gli altri nella Congregazione? Quali sono le nostre reazioni di fronte agli avvenimenti del nostro mondo? Domande come queste: “Siamo chiamati ad essere una Congregazione internazionale oppure una federazione di (vice)province?” oppure “Ci sentiamo a disagio in un modello di economia globale che divide e incoraggia la discriminazione nel nostro mondo?” Ambedue sono problemi spirituali. Ci invitano a riflettere su ciò che siamo, su quello che apprezziamo e in che modo dobbiamo vivere.
E infine, vedo questa lettera legata ad un progetto decisivo già in corso nella Congregazione: la preparazione del prossimo Capitolo Generale. Mi auguro che la presente Communicanda possa contribuire alla riflessione che deve preparare la Congregazione in un momento eccezionale di solidarietà: il XXXIII Capitolo Generale, che sarà celebrato nel 2003.
La preparazione di questo testo
Gli incontri regionali di metà sessennio
Consentitemi di dirvi come è nata questa lettera. Nel 1999, il Consiglio Generale ha preparato il programma dei sei incontri regionali della Congregazione che si dovevano tenere a metà sessennio. Nel corso di questo periodo di dodici mesi, dal gennaio 2000 a gennaio 2001, i superiori maggiori di ciascuna regione si sono riuniti con i membri del Consiglio Generale, prima in Madagascar, poi negli Stati Uniti, in Brasile, nelle Filippine, in Italia e in Polonia.
Il Consiglio Generale ha chiesto ai superiori maggiori, secondo le raccomandazioni del Capitolo Generale, di riflettere sulle stesse realtà in ogni incontro regionale. Gli argomenti riguardavano il tema del sessennio, la spiritualità, la vocazione dei Fratelli nella Congregazione e le questioni relative alla preparazione del prossimo Capitolo Generale. Si è dato spazio anche ai problemi di interesse particolare in ciascuna regione.
Oltre a questi temi, ho presentato la solidarietà come un segno speciale di speranza che vedo nella Congregazione e ho anche discusso su questo “segno dei tempi” con i superiori maggiori.
Già allora speravo di pubblicare eventualmente il messaggio sotto forma di Communicanda, per coinvolgere tutti i confratelli in questa riflessione. Il testo è stato presentato in tutti gli incontri regionali e i superiori maggiori hanno contribuito con preziosi suggerimenti. Sono stati d’accordo di continuare a studiare ancora il tema della solidarietà e mi hanno incoraggiato a pubblicare una Communicanda al riguardo.
La riflessione dell’Unione dei Superiori Generali
Verso là fine del 2000, ho partecipato, con gli altri Superiori Generali, ad una riflessione sul futuro della vita consacrata in un mondo globalizzato. Si trattava del secondo incontro annuale dell’Unione dei Superiori Generali ( 22-25 novembre 2000) durante il quale abbiamo studiato un testo preparato dalla commissione teologica internazionale dell’Unione. A prima vista, sembra che ci sia bisogno di un dizionario dei termini teologici per capire il documento, questo era il titolo: “All’interno della globalizzazione: verso una comunione decentralizzata e interculturale. Le implicazioni ecclesiali per l’amministrazione dei nostri Istituti”, pubblicato l’8 dicembre 2000. Rappresenta il frutto di tre anni di dialogo tra i teologi e i superiori generali sui rapidi cambiamenti di orizzonti entro i quali si trova oggi la vita consacrata. Il testo offre una prospettiva preziosa che cerca di situare questioni come l’inculturazione del carisma e la decentralizzazione in un contesto di nuovi fenomeni sociologici, culturali ed economici. La discussione mi ha almeno convinto che la maggioranza dei responsabili degli ordini e congregazioni internazionali si trovano alle prese con gli stessi problemi: “in che modo pensare globalmente e agire localmente?”.
Il mondo dell’anno 2002
Le informazioni che ci giungono dal mondo intero, ci portano a pensare che i popoli della terra sono intimamente legati tra loro in relazioni completamente nuove. Poco importa la loro potenza o la loro ricchezza, nessuno stato può pretendere di vivere in pace in un isolamento. La prosperità di un paese può costruirsi sulla miseria di molti altri. Le decisioni prese o ignorate in una nazione possono avere conseguenze serie in terre lontane, Le conseguenze possono essere terribili, qualora non riuscissimo a globalizzare la solidarietà tra i cittadini del mondo.
Un motivo di speranza
Sono ormai passati due anni da quando la prima bozza di questa lettera è stata presentata al primo incontro regionale di gennaio 2000. Da allora molti avvenimenti sono accaduti e tra questi, alcuni potrebbe ingenerare in noi un dubbio reale e un cattivo presentimento sul nostro futuro come missionari e, di fatto, di cittadini del mondo. Tuttavia, l’interesse principale di questo messaggio rimane la speranza e il combattimento necessario a renderne conto – compito difficile – come facemmo notare nella nostra prima Communicanda del sessennio (Communicanda 1, 25 febbraio 1998, n° 17). Come osiamo ancora sperare oggi? Con l’Apostolo delle nazioni, i missionari Redentoristi continuano a lavorare e a lottare perché la nostra speranza è radicata nel Dio vivente, Salvatore di tutti i popoli, ma soprattutto di coloro che credono (1 Tim 4, 10). La ragione per cui non indietreggiamo di fronte alle difficoltà e alle delusioni è che noi siamo fermamente convinti di essere stati incaricati di una Missione e che Colui che ce l’ha affidata è degno di fede. II Dio, che è in Gesù Cristo, si è egli stesso unito a noi per sempre. Può esserci un’azione più drammatica di solidarietà della nostra redenzione?
Più cerchiamo di approfondire la missione affidata alla nostra Congregazione, tanto più cresce in molti confratelli una più marcata volontà di lavorare insieme. Questa volontà si traduce in un modo di vivere che si può chiamare solidarietà: un’unità di fine e di comprensione nella grande famiglia Redentorista nel mondo, che genera un’attività missionaria più efficace. Come sono riuscito a percepire questo spirito in atto tra noi?
Segni di solidarietà
La maggior parte dei Redentoristi vogliono sapere ciò che avviene nella Congregazione nei diversi paesi dove viviamo e lavoriamo. I membri del Consiglio Generale sono d’accordo nel riconoscere che i momenti importanti in ciascuna visita sono quelli durante i quali discutiamo in comunità della situazione attuale e della nostra missione globale. Quasi senza eccezioni, i confratelli sono avidi di ascoltare le relazioni dettagliate sulle luci e sulle ombre nella Congregazione oggi. Tali informazioni sono condivise anche in altri modi: incontri internazionali, le informazioni pubblicate dall’Ufficio per le Comunicazioni, i viaggi sempre più frequenti tra le (vice)province e le relazioni tramite Internet. Tutto questo concorre a aumentare la conoscenza delle lotte che sopportano i confratelli in molte differenti situazioni e a diminuire l’indifferenza apparente o la mancanza di simpatia che talvolta esistono tra province e regioni proprio perché noi Redentoristi ci conoscevamo poco. La solidarietà è molto più che un semplice interessamento o la conoscenza delle situazioni altrui. La conoscenza deve tradursi in azione concreta. Sono lieto di poter ricordare qualche “fatto” della nostra fraternità a livello internazionale. Vale la pena ricordare che le nostre più recenti missioni ad gentes sono progetti sostenuti dall’aiuto vicendevole di numerose unità della Congregazione. La nostra presenza missionaria in Nigeria, in Siberia, in Corea e in Bolivia, sono esempi di tale collaborazione. Quando ho visitato la Corea nel 1999, l’Arcivescovo di Seoul osservava che il successo dei Redentoristi nell’attirare nuovi membri era dovuto al fatto che noi presentiamo ai giovani l’immagine di una comunità dal “volto internazionale” e cioè una comunità di fratelli che provengono da differenti nazioni e culture e sono uniti tra loro dall’amore reciproco e dallo zelo missionario. La missione della Corea è iniziata come un’espressione di solidarietà tra le unità dell’Asia e dell’Oceania, e molti hanno contribuito con fondi e personale per portare il nostro carisma a questa nazione. Sono felice di vedere come questo spirito fondatore continui tuttora. Oggi i Redentoristi coreani, tailandesi e filippini, vivono e lavorano insieme, offrendo un forte messaggio di fraternità al popolo coreano.
Evidentemente, molte altre unità hanno una lunga tradizione di Redentoristi di differenti nazionalità che portano la testimonianza della comunione tra popoli, razze e culture, una testimonianza tanto più significativa in un’epoca caratterizzata dalla globalizzazione dei problemi e il ritorno agli idoli del nazionalismo, del razzismo e della xenofobia (cfr, Vita Consecrata, 5,1). Tra le numerose famiglie religiose della Chiesa, questa testimonianza è un contributo che può realizzarsi meglio dalle congregazioni internazionali come la nostra.
Nel corso degli ultimi anni, si sono viste nuove esperienze di solidarietà nella formazione dei missionari Redentoristi. Questa cooperazione si concretizza a livello della formazione iniziale e pure nella corresponsabilità nel preparare programmi di formazione continua o permanente. Alcune unità lavorano insieme in una tappa particolare della formazione, come il noviziato, mentre altre unità accolgono nel loro programma i candidati di altre (vice)province. Alcune regioni appoggiano programmi di formazione continua dei Redentoristi.
Alcune unità desiderano condividere l’abbondanza dei loro giovani membri; sostenendo in tal modo il ministero di (vice)province in fase di invecchiamento e rendono possibili iniziative totalmente nuove. Tra i Redentoristi esiste anche la condivisione di risorse finanziarie. Senza dubbio, persistono ancora nella Congregazione grandi differenze nello stile di vita e nelle condizioni di vita, ma non possiamo ignorare la lodevole generosità praticata da un buon numero di unità che hanno maggiori risorse finanziare. Alcune di queste unità versano contributi regolari al Fondo di solidarietà e anche assistono discretamente i loro fratelli Redentoristi in paesi lontani. Ogni volta che il Governo Generale ha chiesto a queste unità di aiutare una provincia o viceprovincia in difficoltà economiche, la risposta è stata quasi sempre positiva e generosa. Molte (vice)province hanno dato generosi contributi per alcuni progetti, come la ristrutturazione della casa generalizia, l’Accademia Alfonsiana e, più recentemente, gli sforzi per aumentare il patrimonio del Governo Generale (cfr. XXII Capitolo Generale, postulato 9, 5). Nonostante ciò, abbiamo ancora bisogno di trovare mezzi efficaci per realizzare quello che si chiama “la solidarietà mediante l’assistenza allo sviluppo”, raccomandato dall’ultimo Capitolo Generale (Postulato 9, 7).
Un trittico degli Atti degli Apostoli
La Parola di Dio ci mostra come la solidarietà sia una qualità essenziale della vita apostolica. Possiamo trovare un’abbondante fonte di riflessione negli Atti degli Apostoli, specialmente nella descrizione della comunità apostolica. Permettetemi di proporvi tre scene degli Atti, come una specie di trittico per la nostra meditazione. Sulla sinistra vediamo gli apostoli e Maria in preghiera (Atti 1, 12-14), la parte centrale presenta la discesa dello Spirito Santo il giorno di Pentecoste (2, 1ss) e infine a destra, un dipinto che mostra la vita ordinaria dei primi cristiani (4, 32-35). Che cosa vediamo in queste tre icone?
La solidarietà nella preghiera
La prima icona ci mostra l’importanza della preghiera nella comunità apostolica. La Missione che gli apostoli stanno per intraprendere non è una loro creazione; per questo Gesù dice loro: “Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (Atti, 1, 8). Sin dall’inizio la missione degli apostoli è interculturale. La Missione è più grande di essi. Proprio per questo devono vigilare in attesa della venuta dello Spirito, il dono del loro Signore Risorto, che darà ad essi la potenza e li “guiderà alla verità tutta intera” (Gv 16, 13). Tutti insieme, con la Madre del Signore e le altre donne, gli apostoli erano “assidui nella preghiera” (Atti 1, 14).
La prima esperienza di solidarietà tra i discepoli, è la preghiera. È possibile immaginare una vera comunità apostolica dove manchi la preghiera o sia ridotta a semplice routine? Senza una costante preghiera, rischiamo di ridurre la Missione a piccole attività che corrispondono solamente a ciò che vogliamo fare oppure a ciò che pensiamo di poter fare. Fino a che punto dipendiamo dal dono dello Spirito per sapere dove dobbiamo testimoniare il Signore Risorto e per ottenere il potere di compiere la nostra Missione? Maria ci accompagna nella nostra preghiera? E la nostra preghiera comunitaria è abbastanza aperta per associare gli altri discepoli, i nostri collaboratori?
Solidarietà nella Missione
L’icona centrale del trittico ci mostra il giorno della Pentecoste, quando il vento e il fuoco dello Spirito Santo fanno uscire i discepoli impauriti dalla sicurezza del cenacolo per abbracciare una missione universale. Gli apostoli parlano un linguaggio che può essere compreso da tutti e, sin dall’inizio, risulta chiaro che la Chiesa non è la proprietà privata di una sola razza o di una sola nazione. Diciamo piuttosto che lo Spirito Santo “globalizza” il Vangelo e, per mezzo degli apostoli, rende la salvezza accessibile a tutti.
La realtà della Congregazione oggi, è costituita da un’immensa varietà di situazioni sociali, economiche, politiche e ecclesiali. E’ ragionevole allora promuovere una specie di “cultura” redentorista in una tale diversità? Credo che sia possibile e che, di fatto, nella vita dei Redentoristi, sparsi nel mondo, si possono scoprire caratteristiche comuni. Durante il precedente sessennio, Padre Lasso aveva notato alcune di queste qualità nella sua seconda Communicanda, Unità nella Diversità (14 gennaio 1994, vedere soprattutto i numeri 32-36). Fonte di questa unità è lo Spirito. È lo Spirito infatti che riunisce i diversi popoli che ascoltano il Vangelo proclamato il giorno della Pentecoste (Atti 2, 7-12). Tuttavia il testo non suggerisce che tutti quei popoli abbiano sacrificato le loro culture quando sono stati battezzati, ma piuttosto che differenti razze e lingue delle prime comunità cristiane hanno scoperto una forza di unità che le unisce e arricchisce: lo Spirito Santo. È lo stesso Spirito che aiuta i membri della nostra Congregazione ad essere “un cuor solo e un’anima sola”.
La solidarietà in tutto ciò che possiedono
La terza ed ultima icona presenta la descrizione idilliaca della prima comunità cristiana, nella quale tutti i membri condividono le loro proprietà e restano uniti nella preghiera, assidui all’insegnamento degli apostoli e nella frazione del pane (Atti 2, 42-47; 4, 32-35). Dobbiamo tuttavia ammettere che la descrizione dell’unità realizzata dalla comunità di Gerusalemme potrebbe essere anche un po’ romantica e che il libro degli Atti è abbastanza onesto per ricordare momenti dolorosi quando la comunità è divisa secondo appartenenze etniche (cfr. Atti 6, 1ss.), oppure quando Pietro e Paolo si affrontano, prima nel Concilio di Gerusalemme (Atti 15, 1) e in seguito ad Antiochia (Gal 2, 11-14). Tali incomprensioni tuttavia non contraddicono il fatto che la comunità gioiva di una notevole unità, chiaramente attribuita allo Spirito Santo.
La comunità primitiva poteva condividere ciò che possedeva perché “erano un cuor solo e un’anima sola” (Atti 4, 32). I membri non erano obbligati alla generosità, ma lo erano liberamente per l’unità d’intenzione (“un’anima sola”) e per l’unità di simpatia (“un cuor solo”). Questa unità, realizzata dallo Spirito Santo, generava una carità sufficiente per rispondere alle necessità della comunità (Atti 4, 34). Questa effettiva solidarietà non è un semplice imperativo morale. Gli apostoli avevano pregato nell’attesa (cenacolo), lo Spirito era stato dato e li guidava nella loro Missione (Pentecoste). La condivisione dei loro beni e delle stesse loro vite sono una risposta necessaria ai doni dello Spirito e sono intimamente legati con la Missione apostolica.
Non è forse vero che quanto più noi permettiamo allo Spirito di creare in noi “un cuor solo e un’anima sola”, tanto più vogliamo condividere ciò che possediamo? Nonostante le immense differenze di situazioni culturali nelle quali si trova oggi la Congregazione, lo Spirito ci spinge all’unità. È la vocazione che tutti condividiamo: seguire l’esempio di nostro Signore Gesù Cristo nella vita apostolica, che comprende insieme una vita di speciale consacrazione a Dio e una vita di lavoro apostolico (Cost. 1). L’accettazione di questo principio fondamentale di unità, valorizzato e poi precisato nel resto delle Costituzioni e Statuti, rende possibile la vera solidarietà tra i Redentoristi.
Direttive per il futuro
L’effusione dello Spirito Santo e la predicazione degli apostoli provocò una domanda tra le folle di Gerusalemme: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?” (Atti 2, 37). Il volto del nostro mondo in incessante cambiamento, questo stesso mondo dove noi dobbiamo proclamare il Vangelo, dovrebbe condurre a porci la stessa domanda: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”. Se la risposta fosse: “faremo ciò che abbiamo sempre fatto”, cadremmo in un tragico errore.
La solidarietà all’interno di ogni (vice)Provincia
La sfida consiste nel globalizzare la solidarietà nella Congregazione in vista della nostra Missione mondiale. Quando ho condiviso la prima bozza di questo testo negli incontri regionali degli anni 2000-2001, un buon numero di superiori maggiori mi hanno chiesto di non pensare la solidarietà soltanto in termini mondiali; l’unione di spiriti e di cuori dovrebbe caratterizzare la vita dei Redentoristi all’interno di ciascuna provincia e viceprovincia. Disgraziatamente vi sono unità dove dialogo e discernimento non fanno parte della vita della Congregazione. In questi casi, una visione condivisa del futuro e un sentimento di corresponsabilità, esso stesso un principio essenziale del nostro governo, (Cost. 92), generalmente sono assenti. Il risultato è la frammentazione della (vice)provincia e assieme la stagnazione dello zelo missionario. È coerente attendere e desiderare un sentimento di solidarietà da parte di Redentoristi che lavorano in altre unità, se non abbiamo che uno scarso senso di responsabilità per il futuro della nostra?
Solidarietà nella formazione
La formazione iniziale dei missionari Redentoristi richiede una sempre maggiore collaborazione. Ho già fatto notare che in questo settore la collaborazione è aumentata tra alcune (vice)province, condividendo le responsabilità tra differenti unità per la stessa casa di formazione e lo stesso programma. Penso si debba andare ancora più avanti in questa direzione. L’ultimo Capitolo Generale ha sottolineato la necessità di dare un’adeguata preparazione ai responsabili della formazione (Orientamenti, 5.2), di preparare programmi sulla nostra storia e sulla nostra spiritualità (ibid. 5, 3), di avere un’attenzione particolare al passaggio dalla formazione iniziale alle altre comunità apostoliche (5, 6) e incoraggiare anche gli incontri interprovinciali dei formatori e lo scambio dei professori (5.5). Queste attese richiedono una maggiore collaborazione tra le (vice)province e l’aiuto del Governo Generale.
La formazione iniziale dei Redentoristi comporta altre sfide che possono essere meglio affrontate con una certa forma di solidarietà. Per esempio, ci sono unità che sopportano il peso di un gran numero di futuri Redentoristi, mentre altre (vice)province non hanno che un pugno di candidati. Sono molto inquieto per tali situazioni, soprattutto la seconda. È normale continuare un programma di formazione nel quale gli studenti hanno un contatto molto limitato con altri Redentoristi della loro età? E non dimentichiamo il fenomeno degli emigranti e dei rifugiati che dà origine a società multiculturali e spesso a situazioni di una grande urgenza pastorale. In un mondo dove un individuo su 45 è o rifugiato o immigrato, c’è un bisogno immenso di missionari in grado di lavorare in circostanze diverse da quelle nelle quali sono nati. I programmi di formazione iniziale debbono preparare i nostri giovani a queste nuove situazioni. Penso che l’avvenire della Congregazione sarà maggiormente assicurato se saremo capaci di scoprire nuovi mezzi di collaborazione nel campo della formazione iniziale dei missionari Redentoristi.
Le strutture della Congregazione
Sono convinto che la Missione della Congregazione esiga eventualmente che scopriamo nuove strutture interne. L’attuale sistema di province, viceprovince e regioni, ci è stato molto utile da un secolo e mezzo circa. Mi chiedo se queste strutture saranno adeguate per il futuro. Non dovremmo forse scoprire nuovi paradigmi per un governo che favorisca la mobilità e la flessibilità? Certamente oggi ci sono molti casi nella Congregazione nei quali per mantenere la struttura esistente, come provincia e viceprovincia, si paga molto caro sia in termini di risorse umane che materiali. Possiamo immaginare un modo diverso di organizzazione del Governo Generale perché possa servire meglio l’unità e la pluralità della Congregazione? Oltre al sistema delle province, abbiamo bisogno di una sorta di struttura intermedia che coordini il lavoro missionario dei Redentoristi nella stessa regione geografica? Un unico fine, arricchito dalla comprensione, per Redentoristi che lavorano oltre i confini della loro unità, ci aiuterà a scoprire strutture capaci di sostenere la nostra Missione nel ventunesimo secolo.
Le priorità regionali
Le unità di alcune regioni hanno iniziato a guardare oltre le proprie frontiere per riconoscere l’importanza di un particolare apostolato che risponda a una situazione pastorale urgente e che potrà continuare unicamente a condizione che le diverse (vice)province lavorino insieme. Queste unità hanno iniziato a formulare priorità regionali. Si tratta dell’impegno di confratelli della Regione per un lavoro che originariamente era un progetto di una sola unità, oppure per collaborare a una iniziativa completamente nuova. I responsabili delle province dell’America del Nord e dell’Europa Nord hanno già cominciato una discussione sulla fattibilità di priorità condivise nelle loro rispettive regioni.
Comunità internazionali
L’ultimo Capitolo Generale ha espresso il proprio sostegno alla creazione di comunità internazionali di Redentoristi al servizio della nostra Missione (XXII Capitolo Generale, postulato 3. 2). Anche se non si tratta di una panacea o di una soluzione universale a problemi quali l’invecchiamento di province che hanno poche vocazioni, credo fermamente che le comunità internazionali, sono una forte espressione del nostro carisma in un mondo in via di globalizzazione. Non dovremmo forse cercare nuove forme di solidarietà, comprese le comunità internazionali, in vista di predicare il Vangelo alle comunità ispaniche o asiatiche nell’America del Nord? Siamo in grado di assicurare che il nostro carisma potrà contribuire alla nuova Evangelizzazione dell’Europa? La vita in una comunità internazionale non è sempre priva di difficoltà, ma può anche essere molto arricchente. Lo so perché ho il privilegio di vivere in una di queste comunità.
Conclusione
La nuova situazione del nostro mondo e della Chiesa invita ogni Redentorista a guardare oltre le frontiere della propria unità e prendere in considerazione le grandi necessità della nostra Missione. Credo che esistano già nella Congregazione esempi promettenti di solidarietà e che costituiscano un trampolino di lancio per altre iniziative in avvenire. La nostra fiducia riposa sullo Spirito di Cristo che ci rende capaci di gridare Abba, che continua a spingerci avanti per predicare la Buona Novella e ci rende coscienti del bisogno degli uni e degli altri per adempiere alla Missione che Egli ci affida.
Con l’icona di Maria e degli apostoli nel cenacolo davanti ai nostri occhi, vi invito ad approfondire la vostra solidarietà nella preghiera, fiduciosi che il Signore ci aprirà ancora al lavorio dello Spirito, affinché possiamo essere veramente “un cuor solo e un’anima sola”, di nome e di fatto, al servizio della nostra Missione.
A nome del Consiglio Generale
Joseph W. Tobin, C.Ss.R.
Superiore Generale
(Il testo originale è in inglese.)
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