Il 2014 è stato un altro anno molto intenso per Papa Francesco: tanti gli eventi importanti, ma ciò che resta più impresso nei cuori sono forse le immagini quotidiane del Papa in mezzo alla gente, i suoi abbracci alle persone, in particolare ai bambini e ai malati. Per un bilancio di quest’anno di Pontificato, a partire dai cinque viaggi internazionali, Terra Santa, Corea, Albania, Strasburgo e Turchia, ascoltiamo il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Sergio Centofanti:
Viaggi internazionali
R. – Ci sono moltissime cose che si potrebbero dire. Io vorrei ricordare anzitutto che è bello che anche Papa Francesco abbia potuto fare un viaggio in Terra Santa, come i suoi predecessori, perché è sempre un po’ tornare alle radici della nostra fede, alle radici del cristianesimo, ai luoghi della Storia della Salvezza, e questo ha un potere simbolico e spirituale formidabile. Ricordo i momenti in cui il Papa, commosso, era sulle rive del Giordano, sui luoghi del Battesimo, naturalmente nel Santo Sepolcro, e così via. Quindi, sono cose fondamentali per la nostra fede ed è giusto che il Papa possa anche, a nome di tutti noi, tornare su quei luoghi per ricordarci da dove veniamo, il mistero dell’incontro di Cristo con l’umanità. Però, ci sono tanti altri aspetti che questi viaggi hanno toccato. Vorrei ricordare l’aspetto dell’ecumenismo: sia l’incontro a Gerusalemme, sia l’incontro poi a Costantinopoli con il Patriarca Bartolomeo, dice come è intensa questa amicizia, questo rapporto personale che Papa Francesco ha stabilito con il primo dei Patriarchi dell’ortodossia, e come questo sia un segno di speranza per il nostro futuro cammino ecumenico. Importantissima è la frontiera dell’Asia: il Papa in questo anno ha viaggiato verso la Corea e tra poche settimane viaggia verso lo Sri Lanka e le Filippine. Il suo predecessore non aveva potuto recarsi in Asia. Questi grandi viaggi di Papa Francesco dicono una rinnovata attenzione della Chiesa verso questa porzione predominante dell’umanità di oggi e di domani, da un punto di vista anche demografico, di presenza umana impressionante dal punto di vista delle sue dimensioni e della sua dinamica e, per la Chiesa, un terreno sconfinato di evangelizzazione, di annuncio del Vangelo in situazioni culturali, sociali, politiche molto varie, spesso molto difficili. Quindi, è una delle grandi frontiere della Chiesa del nostro tempo, e Papa Francesco ce la indica con questi suoi viaggi entusiasmanti. Da non trascurare anche la dimensione europea: c’è stato un brevissimo viaggio in Albania, però significativo anche questo del fatto che il Papa desidera partire forse più dalle periferie per arrivare al cuore di un continente. Ma poi, il Papa è andato anche a Strasburgo: viaggio brevissimo ma fondamentale, perché ha dato – vorrei dire finalmente, forse – l’occasione al Papa di fare un discorso per l’Europa, per i Paesi europei e per il continente, un discorso ampio, un discorso articolato, completo di tante prospettive, che in qualche modo – per il Papa che viene da fuori dell’Europa – era molto atteso. E adesso rimane un punto di riferimento per tanti altri interventi che egli potrà fare per popoli singoli o in tante situazioni che riguardano il nostro Continente. Un piccolo particolare che vorrei ricordare di questi viaggi è la dimensione del martirio: sia in Corea, dove la Storia della Chiesa è caratterizzata dal martirio, sia in Albania, dove il martirio nei tempi recenti, sotto il comunismo, è stato fortissimo, sia nel Medio Oriente dove il martirio è anche realtà attuale per i tanti problemi che vi avvengono, il Papa incontra questa realtà e ci ricorda l’attualità di questa dimensione nella vita della Chiesa di tutti i tempi e anche del nostro.
Dialogo interreligioso
D. – Per quanto riguarda la Turchia, c’è stato anche l’aspetto interreligioso, molto importante …
R. – Sì. Tra le dimensioni del Pontificato di quest’anno, quella del dialogo interreligioso è stata pure importante, e in Turchia ha trovato una sua attuazione che è continuata, per esempio, anche nel viaggio in Albania e in altre occasioni. Mi pare che il Papa sia molto consapevole anche della situazione dell’islam nel mondo moderno e cerchi di trovare le vie per un rapporto costruttivo, anche nel dialogo, in quanto questo sia possibile, evitando naturalmente gli eccessi e condannando tutti gli eccessi, invece, dell’uso violento della fede religiosa.
Canonizzazione Papi
D. – Non possiamo dimenticare i grandi eventi della canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII e della beatificazione di Paolo VI …
R. – Sì: credo che il denominatore comune di questi grandi eventi sia l’attualità del Concilio Vaticano II, che è stato al centro della vita e del ministero di questi tre Papi, perché Giovanni XXIII lo ha convocato, Paolo VI lo ha condotto in porto e concluso e ne ha cominciato l’attuazione, e Giovanni Paolo II ha dedicato il suo sconfinato Pontificato proprio all’attuazione del Concilio Vaticano II. Quindi, queste tre figure di Papi, a parte il valore straordinario della loro testimonianza cristiana e umana, sono collegati a questo evento del rinnovamento della Chiesa nel nostro tempo, del suo dialogo con il nostro tempo e la cultura contemporanea, all’evangelizzazione del nostro tempo fatta da una Chiesa rinnovata secondo lo spirito del Concilio Vaticano II. Quindi, mi pare che questi due eventi – canonizzazione e beatificazione – segnino anche l’impostazione del Pontificato di Francesco sulla scia dei suoi predecessori, nel grande quadro del Concilio Vaticano II e della sua attuazione nel nostro tempo.
Sinodo famiglia
D. – E quest’anno c’è stato il Sinodo sulla famiglia, che ha suscitato vivaci dibattiti anche nello stesso mondo cattolico …
R. – Sì. Io credo che l’impresa – perché mi sembra di poterla definire una grande impresa pastorale – del Sinodo dedicato alla famiglia, con questo cammino articolato in diverse tappe, dal Concistoro dei cardinali all’assemblea straordinaria all’assemblea ordinaria che ancora aspettiamo, al coinvolgimento della comunità della Chiesa, sia una delle principali imprese pastorali ed ecclesiali messe in cammino da Papa Francesco. Forse la principale, nel senso che tocca veramente la vita di tutti: la vita dei fedeli ma anche la vita di tutte le persone umane del nostro tempo, perché un discorso sulla famiglia, sulla evangelizzazione della realtà familiare, è qualcosa che riguarda proprio il bene, il centro della vita di ognuno, uomini e donne del nostro tempo. E’ una impresa molto coraggiosa, perché il Papa ha messo sul tavolo temi anche difficili, anche delicati; però, è qualcosa di cui c’era veramente bisogno. E’ stato giustamente ricordato che anche gli altri Papi, all’inizio dei loro Pontificati, avevano scelto il tema della famiglia come tema di lavoro dei Sinodi e tema importante per il loro ministero pastorale. Quindi, si vede che proprio andare al cuore, al mondo della vita per cercare di annunciare il Vangelo e di dare una via buona per la vita spirituale e umana dei nostri contemporanei, sia qualcosa di estremamente urgente. E noi auguriamo con tutto il cuore a Papa Francesco che riesca a condurre la Chiesa verso una riflessione sui temi veramente fondamentali, che riguardano la famiglia, senza rimanere, magari, distratti da temi per quanto importanti, però di carattere marginale oppure che possono prestarsi a polemiche senza cogliere però quali sono i punti più fondamentali perché più importanti per tutti, della tematica familiare e del vivere come cristiani questa dimensione fondamentale della vita.
Giustizia, pace, perseguitati
D. – Pensiamo anche ad altri temi cari al Papa: la pace, la giustizia, i poveri, le persone sfruttate, la schiavitù, i cristiani perseguitati …
R. – Il Papa, fin dall’inizio del suo Pontificato, ci ha detto che voleva ricordarsi dei poveri e delle periferie, di tutte le persone che soffrono perché hanno diritto alla nostra attenzione, alla nostra solidarietà, alla condivisione dei loro problemi. E questo noi lo vediamo effettivamente tornare continuamente. Quest’anno abbiamo questa situazione assolutamente drammatica nel Medio Oriente, con tante persone – cristiani e non solo – che sono dovute fuggire, abbandonare le loro case e vivono con estrema sofferenza la condizione di rifugiati; oppure vivono proprio delle persecuzioni, sono vittime di violenza diretta. Questo è tornato continuamente negli appelli, nell’attenzione del Papa, anche nella Lettera che proprio due giorni prima di Natale ha mandato ai cristiani nel Medio Oriente. Ma ci sono altri temi che sono tornati frequentemente e su cui si è concentrata una maggiore attenzione della Chiesa: prendiamo i temi del Messaggio del Papa per la Giornata della Pace di quest’anno, contro le nuove schiavitù, e si sono moltiplicate le iniziative presso l’Accademia delle Scienze, da parte delle religiose, contro la tratta, il traffico di esseri umani, contro tante altre forme di violenza e di schiavitù del nostro tempo … Direi che il Papa ha fatto proprio una mobilitazione della Chiesa, delle persone di buona volontà, su queste frontiere.
Riforma
D. – Qual è il senso della riforma che vuole il Papa? Pensiamo anche al discorso importante che ha fatto recentemente alla Curia …
R. – Il Papa ha messo in moto, già dall’inizio del suo Pontificato, un progetto di riforma della Curia Romana che però va inteso bene, perché è semplicemente una parte di un progetto di rinnovamento della Chiesa molto più ampio che lui ha formulato nell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”: questo della Chiesa in uscita, della Chiesa missionaria, della Chiesa tutta impegnata sull’evangelizzazione, di cui poi anche la Curia Romana è una servitrice, uno strumento per aiutare la Chiesa nella sua missione. Il lavoro di riflessione in vista di questa riforma anche di carattere organizzativo, della Curia, continua, con una sua regolarità, con i suoi tempi che sono naturalmente tempi abbastanza lunghi, di riflessione e di consultazione. Ma quello che mi sembra molto importante notare è che per il Papa il cuore di ogni riforma è interiore: le riforme partono dal cuore. Ricordiamo anche Gesù, che dice: “Le cose buone o le cose cattive vengono dal cuore”: è da lì che bisogna partire per rinnovare o per guarire quando ci sono degli inconvenienti. Allora anche i discorsi che ha fatto prima del Natale, sia alla Curia sia ai dipendenti vaticani, il discorso che egli ha fatto al termine del Sinodo, ci dicono molto chiaramente come egli governi la Chiesa anche con il discernimento spirituale per guarire in profondità i nostri atteggiamenti, renderci più radicalmente fedeli al Vangelo; e con questo, poi, potremo anche esercitare meglio tutto il nostro servizio, tutta la nostra attività di evangelizzazione o di servizio ecclesiale. Ecco: la riforma è un tema perenne della vita cristiana – il tema della conversione del cristiano – e deve essere qualcosa di non superficiale, non puramente organizzativo. Il Papa ha detto molte volte che i problemi non sono di carattere anzitutto logistico e organizzativo – anche se questi possono aiutare – ma sono quelli interiori e più profondi. Allora, questi grandi discorsi secondo me hanno messo molto bene in rilievo nel loro genere, nella loro impostazione, questa attenzione prioritaria del Papa a guarire in profondità il cuore: tutti i problemi o gli inconvenienti che noi possiamo vivere hanno, a volte, non solo una dimensione di carattere organizzativo ma anche una dimensione di atteggiamenti: di atteggiamenti appropriati, di capacità di ascoltare, di capacità di dialogare, di disponibilità al servizio, di purificazione interiore … ecco, queste sono dimensioni che stanno profondamente a cuore al Papa, e sono dimensioni su cui noi lo sentiamo parlare anche ogni mattina nelle omelie di Santa Marta, in cui lui manifesta il suo carattere di maestro spirituale, di guida dello spirito secondo la tradizione degli Esercizi spirituali ignaziani. Quindi, io credo che sia molto importante capire questo: che ogni vera riforma che è un problema perenne nella vita della Chiesa, deve trovare il suo vero punto di partenza, che è la profondità del cuore, rinnovato alla luce del Vangelo. Questo ci dice il Papa e ce lo ricorda continuamente.
Cultura dell’incontro
D. – Infine, c’è una parola che meglio caratterizza questo 2014 di Papa Francesco?
R. – Le parole che usa Papa Francesco e che colpiscono, sono moltissime, quindi se ne potrebbero scegliere tante. Una che con il tempo credo di comprendere sempre meglio e di vederne sempre più il significato cruciale, è quello della cultura dell’incontro. Cioè, Papa Francesco ha proprio un atteggiamento, un modo di rapportarsi agli altri come persona che incontra persone e che mette in gioco profondamente la sua vita e il suo essere e cerca che l’altro, il suo interlocutore, metta in gioco se stesso. E allora ci si può incontrare profondamente e si possono anche mettere in cammino iniziative e dialoghi nuovi che magari erano rimaste bloccate, con un rapporto che era ad un livello più superficiale o formale. Mi viene in mente questo anche per quanto riguarda un po’ il metodo dei rapporti del Papa con le grandi personalità. Abbiamo evocato già l’incontro con il Patriarca Bartolomeo: è un incontro personale, è una vera amicizia, e questo fa pensare che anche nell’ecumenismo si possano forse fare dei passi avanti in cui l’incontro delle persone spinge e aiuta a progredire anche la dimensione necessaria, ma non del tutto esauriente, del dialogo teologico, dell’incontro delle idee, degli studi storici … Ci vuole anche l’incontro delle persone nella fede e nella volontà di far procedere secondo la volontà di Cristo il cammino dell’unità della Chiesa. E, in un certo senso, anche questo recente segno di speranza che è dato dai nuovi rapporti tra Stati Uniti e Cuba e in cui i due leader politici hanno ringraziato Papa Francesco per la lettera che egli ha mandato loro, dice che anche in questa dimensione dei rapporti internazionali con le grandi personalità del mondo – anche con i leader non solo religiosi, ma dei popoli – il Papa ha un suo approccio che è molto personale ma coinvolgente, manifesta un suo carisma, una sua capacità di andare al cuore dell’altro e invitarlo a fare dei passi, a mettersi in cammino per il bene dell’umanità. Ecco, questo mi sembra qualcosa di molto prezioso, di molto importante e anche di piuttosto caratteristico di Papa Francesco. Dietro alla parola “cultura dell’incontro”, che io all’inizio avevo un po’ sottovalutato, trovo invece questa impostazione dell’andare verso l’altro – in tante dimensioni: quella religiosa, quella spirituale e così via – ma anche quella di carattere ecumenico o politico, che dice una caratteristica di questo Pontificato.
(Da Radio Vaticana)
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