LA MATERNITÀ DIVINA DI MARIA, FONTE D’ISPIRAZIONE PER UNA ETICA DEL DONO

0
2264

Introduzione

Il 150° anniversario dell’immagine di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso mi offre l’occasione di riflettere nell’ambito della teologia morale sul tema della maternità divina di Maria. Come risulta da questa Icona di amore, Maria è stata pienamente associata, in quanto Madre, all’opera di redenzione del suo Figlio Gesù. Allora quale è la conseguenza di questa verità rivelata dal punto di vista della teologia morale, quella «scienza che accoglie e interroga la rivelazione divina e insieme risponde alle esigenze della ragione umana»[1]? Questa domanda, che potrebbe fare il teologo moralista il cui compito è riflettere sulla «”moralità”, ossia il bene e il male degli atti umani e della persona che li compie»[2], suppone che la maternità divina di Maria è fonte di ispirazione per una etica del dono che traducono gli atti buoni della persona.

Con l’intenzione di illustrare «la grandezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo»[3], mi propongo di spiegare secondo la logica del dono la maternità divina di Maria come fonte di ispirazione per una etica del dono. Questa spiegazione, che parte da una presa di coscienza del ruolo decisivo e universale del dono nella storia della specie umana sin dalla creazione e di ogni essere umano dalla concezione alla morte, si organizzerà in tre momenti: nel primo, si tratterà di mettere in rilievo la nozione di etica del dono; nel secondo, di comprendere la consistenza della maternità divina di Maria; e finalmente nel terzo, di presentare Maria come modello per una etica del dono.

  1. Nozione di etica del dono

Athané descrive, inseguito a Testart e completandolo[4], una tipologia di trasferimenti tra i quali si ritrovano il dono, lo scambio, i trasferimenti di Terzo e quarto tipo[5]. Mentre lo scambio è un trasferimento che suppone un altro esatto in senso inverso, il dono può accompagnarsi a un controdono che, tuttavia, non è esigibile ma tanto libero quanto il dono iniziale. Questo significa che un donatario può sentirsi obbligato di cedere una contropartita, ma, in questo caso, è solo un obbligo morale che non implica nessuna conseguenza giuridica in caso di mancanza. Il dono è un trasferimento non esigibile senza contropartita esigibile, e lo scambio l’insieme formato da due trasferimenti cui ciascuno è la contropartita esigibile dell’altro[6].

Però, non tutti i trasferimenti privi di contropartita sono identici al dono. Infatti, alla differenza del dono, l’imposta, ad esempio, è esigibile e dipende necessariamente da un obbligo giuridico. Peraltro, esistono trasferimenti di un quarto tipo che, pur non essendo esigibili, sono esatti e realizzati con la forza, ed è il caso di tutto ciò che dipende dalla predazione. Il trasferimento del terzo tipo, o di pace, è un trasferimento esigibile senza contropartita esigibile[7], mentre quello del quarto tipo, o di guerra, sia pubblica che privata, è un trasferimento esatto e ottenuto ma non esigibile[8].

La presenza di una contropartita esigibile definisce lo scambio per opposizione al dono, e il fatto che il trasferimento, a prescindere dalla sua eventuale contropartita, sia esigibile o meno, distingue il dono dai trasferimenti di terzo e quarto tipo. Il dono è un modo di trasferimento, ma alla differenza degli altri tre, non è soltanto un semplice trasferimento di risorse o di beni ma, molto più, di diritti su cose. Infatti, come viene definito da Testart, «un dono è una cessione di bene […] che implica la rinuncia a ogni diritto su questo bene così come a ogni diritto che potrebbe derivare da questa cessione, in particolare quello di esigere qualunque cosa in contropartita, e […] che non è essa stessa esigibile»[9].

La tipologia dei trasferimenti permette di afferrare il significato del dono come gesto che, nell’ottica dell’etica sociale, implica, nella sua dinamica, tre elementi costitutivi: colui che dona, quel che è donato e colui che riceve. Il primo è caratterizzato dalla motivazione di cedere qualcosa non in vista di una qualsiasi ricompensa, ma solo per esprimere la stima, l’amicizia, la benevolenza, l’affetto e di stabilire così una relazione significativa e durevole. Quel che è donato comprende allora un messaggio che esprime il desiderio di relazione del donatore, e colui che lo riceve[10], accoglie pertanto il donatore stesso. In realtà, il dono è l’accoglienza dell’altro che si dona cedendo qualcosa in modo disinteressato. È la messa in moto del legame dal gesto scambiato, ovvero un’azione, un’intenzione o una parola verso qualcuno che, a sua volta, enuncia, trattiene e rilancia il legame[11].

Il dono sarebbe dunque una potenza di alterità che si impone come principio illustrativo dell’amore personale, e l’etica, che ne scaturisce, orienta la persona al dono vero, buono e bello, l’aiuta a individuare la buona maniera di ricevere e di donare, a non pervertire il dono sviandolo dal suo scopo che è lo sviluppo altrui[12]. L’etica del dono è allora quella etica fondamentale che assume la verità del dono come l’universale e radicale paradigma dell’agire morale e della vocazione della persona a riconoscere in modo incondizionato l’altro nel suo essere fine in sé. In questo senso lungi dall’essere agli suoi antipodi, l’etica del dono arricchisce la teologia morale che, seguendo la logica del dono, può anche proporre un modo di vita morale e orientare l’esistenza umana con norme morali conforme all’amore di Dio e del prossimo.

L’amore umano trova il suo fondamento incondizionato nell’amore di Dio che lo precede e lo suscita, pur chiedendo di essere riconosciuto. In altre parole, il primo atto di dono umano è già una gratitudine nei confronti della pura gratuità di Dio, una costante asimmetria che si riproduce nelle relazioni umane. Ciò che è e ha l’essere umano, lo ha ricevuto in dono di essere et di avere. Di qui la necessità per questo essere di riconoscere il proprio valore e la propria grandezza di essere-di dono per poter godere adeguatamente della sua umanità e di entrare nelle relazioni di solidarietà e comunione con gli altri, relazione per cui l’umanità è stata creata da Dio. «È, infatti, mediante il libero dono di sé che l’uomo diventa autenticamente se stesso, e questo dono è reso possibile dall’essenziale “capacità di trascendenza” della persona umana»[13]. L’etica del dono si radica nella la creazione come un dono libero di Dio fatto all’essere umano[14] che si scopre essere «donato a se stesso da Dio» e pertanto chiamato a «rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato»[15].

La creazione è un dono originario che costituisce simultaneamente Dio come primo donatore dinanzi a l’essere umano e l’essere umano come primo donatario dinanzi a Dio. Dio è creatore per pura gratuità, perché non è legato a nessun obbligo, ma rimane incondizionato e assoluto, e l’uomo è chiamato a riconoscersi in relazione di gratitudine con Dio. Creato a immagine e somiglianza di Dio, l’essere umano si sviluppa solo nel senso di questa realtà, cioè nella comunione e il dono disinteressato di se stesso[16]. «Dire che l’uomo è creato a immagine e somiglianza di questo Dio vuol dire anche che l’uomo è chiamato ad esistere “per” gli altri, a diventare un dono»[17]. Ma nella storia dell’umanità, si riterrà Maria come l’unica creatura che si è mantenuta nella perfezione originaria dell’essere a immagine e somiglianza del Creatore, e che ha saputo assumere la sua identità di donatario consapevole del dono di maternità che Dio le ha fatto in vista della realizzazione del suo piano d’amore sull’umanità[18].

  1. La maternità divina di Maria, un dono ricevuto e donato

Nella sua meditazione sul nome Piena di grazia che Maria ha ricevuto all’Annunciazione, Giovanni Paolo II spiega che «”grazia” significa un dono speciale, che […] ha la sua sorgente nella vita trinitaria di Dio stesso, di Dio che è amore» e fonte dell’elezione salvifica. Maria è piena di grazia in virtù dell’Incarnazione divina che si è realizzata in lei e quindi in virtù di tutti i doni soprannaturali ricevuti in modo eccezionale e unico per essere Madre di colui da cui ha ricevuto la vita «in una pienezza corrispondente all’amore del Figlio verso la Madre»[19]. Maria diventa così colei a chi la donazione divina di se stesso accade e solo dopo colei che si scopre primo destinatario e testimone della manifestazione di Dio che si dona.

Questo dono di sé di Dio a Maria è stato accompagnato di una capacità di accoglienza che dipende anche dalla grazia divina. Dio ha fatto di lei colei che accetta, riceve e risponde liberamente nella fede, abbandonandosi interamente a lui. Da lui, Maria ha ricevuto la possibilità di donare e di donarsi. Si è ricevuta come Madre ricevendo il dono di maternità, dono in cui si è veramente ritrovata dal suo dono di sé personale a Dio per la redenzione dell’umanità. Il suo consenso alla maternità divina è, secondo Giovanni Paolo II, «frutto della totale donazione a Dio nella verginità». In virtù della sua consacrazione totale, «Maria desiderava di esser sempre e in tutto “donata a Dio”», vivendo nella virginità. Nel riconoscersi serva del Signore, mostra che «ha accolto ed inteso la propria maternità come totale dono di sé, della sua persona a servizio dei disegni salvifici dell’Altissimo»[20].

Maria è veramente Madre di Gesù secondo la Carne, perché lo ha effettivamente concepito, dato alla luce e allattato: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!» (Lc 11,27); ed è davvero grazie a questa maternità che si può dire di Gesù un vero figlio dell’uomo[21]. Ma agli occhi di Gesù stesso, Maria non è soltanto la sua Madre secondo la carne, ma, molto più, secondo lo spirito. In questo senso, Giovanni Paolo II spiega che, per la risposta: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28), Gesù «vuole distogliere l’attenzione dalla maternità intesa solo come un legame della carne, per orientarla verso quei misteriosi legami dello spirito, che si formano nell’ascolto e nell’osservanza della parola di Dio»[22]. Si tratta qui di un nuovo senso della maternità nella quale si riconosce ogni persona che risponde alle condizioni richieste (Lc 8, 20-21), Maria essendo, del resto, la prima a rispondervi.

Questa maternità nuova di Maria rinvia alla sua sollecitudine per gli esseri umani. È infatti quella madre che agisce in mediatrice presentando i bisogni degli esseri umani al suo Figlio, è colei che «si pone tra suo Figlio e gli uomini nella realtà delle loro privazioni, indigenze e sofferenze»[23]. Secondo Sant’Alfonso, «Maria è tutt’occhi per compatire e soccorrere le nostre miserie», e questo perché è la nostra Madre per amore, in ragione della tenerezza nei nostri confronti. Alle nozze di Cana, Maria, Madre di bella dilezione e di amore, ha dato «una chiara prova di questa sua compassione» di cui era pervasa per le pene altrui: «Quando il vino venne a mancare, “senza esserne richiesta […] si assunse il compito di pietosa consolatrice”. Per pura compassione di quegli sposi, intercedette presso il Figlio e ne ottenne il miracolo dell’acqua mutata in vino»[24].

Maria agisce dal suo posto di madre e nella piena consapevolezza di potere, in forza della sua maternità, mostrare al Figlio i bisogni degli uomini. Non solo, intercede per gli uomini, ma più ancora desidera, in quanto Madre, che il suo Figlio venga in soccorso degli uomini nella loro disgrazia, che li liberi dal male che pesa su di loro. Peraltro, Maria, in quanto Madre, gioca il ruolo di portavoce della volontà del suo Figlio presso gli uomini, ed è in virtù di questo ruolo materno che dirà ai servitori presenti alle nozze di Cana di fare tutto ciò che il suo Figlio dirà loro. È quindi «indicatrice di quelle esigenze che devono essere soddisfatte, affinché la potenza salvifica del Messia possa manifestarsi»[25].

Il ruolo materno di Maria è strettamente legato alla mediazione di Cristo, perché è dalla sovrabbondanza dei suoi meriti che deriva questa mediazione materna che è «tutta orientata verso il Cristo e protesa alla rivelazione della sua potenza salvifica». Maria, Madre di Dio, è anche nell’ordine della grazia la Madre degli esseri umani, cioè «è diventata una “compagna generosa in modo del tutto singolare e umile ancella del Signore”»[26]. Giovanni Paolo II vede la conferma di questo posto materno di Maria al momento del sacrificio della croce di Cristo. Nel commentare Gv 19, 25-27, sottolinea una triplice realtà su Maria: la sollecitudine filiale di Gesù per la sua Madre, il nuovo legame che esiste tra ambedue e la maternità di Maria verso gli esseri umani e la Chiesa rappresentata da Giovanni, il discepolo. Per il dono della sua maternità a Dio, Maria ha donato agli esseri umani la possibilità di accedere alla salvezza di Dio, diventando così Madre della Chiesa e di tutti gli esseri umani.

Secondo Balthasar che lo ha egli stesso suggerito, il principio mariano esprime «il paradosso insondabile della risposta di Maria all’angelo: “Ecco la serva del Signore […]”». Questo principio indicherebbe così il ruolo di Maria nella Chiesa, pur manifestando la sua relazione di origine. Maria è infatti prima della Chiesa e vive della redenzione prima che sia comunicata a tutto il genere umano e alla Chiesa[27]. L’elevazione soprannaturale di Maria all’unione con Dio in Gesù Cristo «determina la profondissima finalità dell’esistenza di ogni uomo sia sulla terra che nell’eternità», e la donna è, in questo senso, «la rappresentante e l’archetipo di tutto il genere umano»[28]. Se è vero che la dignità dell’essere umano e la vocazione che gli corrisponde trovano la loro misura definitiva nell’unione con Dio, occorre ammettere che Maria ne è l’espressione più compiuta[29] e, a questo titolo, il modello per eccellenza per una etica del dono[30], espressione della libertà umana e via di liberazione dell’umanità[31].

  1. Maria, Modello per una etica del dono

La presa in considerazione dei tre elementi fondamentali del dono in etica sociale permette di comprenderlo come un modo di relazione tra un donatore e un donatario, che, pur avendo la pienezza di essere a se stesso e destinato a se stesso, rimane tuttavia incapace di pervenirci senza il soccorso del donatore. Questa relazione suppone l’umiltà di chiedere, il rischio di donare, il tempo di ricevere e l’iniziativa di donare a sua volta. È anche caratterizzata dalla preoccupazione per altrui e l’attenzione a sé, la libertà e il sentimento di essere moralmente obbligato di viverne. Ciò suppone, da lato del donatore, non solo un atteggiamento di sollecitudine, ma anche quello di fiducia intesa nel senso di un appello rivolto all’altro per giocare il gioco del dono, perché il movimento del dono è possibile solo in una reciprocità d’impegno per un arricchimento reciproco, reciprocità in cui si tratta di rilanciare ogni volta e in modo costruttivo il dialogo al fine di aprire a nuove prospettive[32].

Il dono è la vera sostanza della relazione interpersonale, il principio che ne afferma il primato della relazione interpersonale sull’esonero e dell’identità personale sull’utile. La verità del dono, che normalmente dovrebbe esprimersi in tutti campi dell’agire umano, incluso quello economico e politico, vuole che si pensi e consideri l’altro nella sua dignità di essere fine in sé, dunque come essere-di-dono. L’aspetto primordiale dell’etica del dono consiste nell’accogliere l’altro nel suo desiderio profondo di donarsi agli altri. Ogni essere umano porta questo desiderio e si trova contemporaneamente nella condizione di accogliere l’altro e di essere accolto dall’altro. Ma è solo assumendo la sua responsabilità per altrui che si scopre la propria vocazione di donarsi all’altro, pur ricevendosi in dono partendo da quest’altro[33]. La vita come dono è una vocazione etica da assumere e realizzare per il successo di un dono di vita.

Maria ha saputo incarnare prima, durante e dopo l’evento dell’Annunciazione, lo spirito universale del dono autentico che costituisce la base della relazione dell’essere umano con Dio e gli esseri umani tra di loro. Essa è l’essere-di-dono perfetto e destinataria per eccellenza dell’amore di Dio, e quindi in modo costitutivo carità ricevuta e donata, originariamente donata a se stessa, donatrice d’amore e in perfetta relazione di dono a Dio e agli esseri umani[34]. Per questo, imitare Maria è prendere coscienza della propria identità di creatura come essere-di-dono e decidersi a non vivere per se stesso ma per gli altri, aprendo il cuore alle loro sofferenze e compatendo sinceramente essi per il loro dolore. Riconoscerla come modello per una etica del dono significa vivere in una logica che rinvia alla realtà del dono come origine, norma e finalità dell’esistenza umana e rispondere al bisogno altrui, pur facendo in modo che non sia umiliato dal dono umano. In questo senso, Benedetto XVI scrive: «Perché il dono non umili l’altro, devo donargli non solo qualcosa di me, ma me stesso, devo essere presente nel dono in quanto persona»[35].

Maria ha saputo realizzare in pienezza la sua vocazione d’amore, perché in lei la libertà divina e la libertà umana interagivano in modo perfetto. In lei si può contemplare l’autentica vocazione etica che ogni persona è chiamata a realizzare. Nel contemplarla, i cristiani possono, anche loro, accogliere la Parola di Dio affinché si compia nella loro vita morale secondo la dinamica del dono nella loro natura di essere-di-dono. La vita morale secondo la dinamica del dono implica che l’essere umano s’impegni liberamente a promuovere questa dinamica in tutte le attività umane. Si tratta dunque di evitare ogni comportamento che potrebbe impedire la possibilità di vivere la logica del dono che, che per la sua essenza, è la relazione in cui si può donare solo se si è ricevuto personalmente. Riconoscersi essere-di-dono non è diverso dall’abilitarsi al dono di sé, scoprire se stesso e i suoi simili come esseri dotati di responsabilità da comprendere nelle quattro possibili accezioni: la responsabilità di sé davanti all’altro; la responsabilità per l’altro; il fatto di rispondere di qualcosa davanti a qualcuno; il fatto di assumere un atto davanti a se stesso.

Maria, libera e responsabile, dimostra così che la responsabilità è, per eccellenza, il luogo in cui colui che accetta liberamente di donarsi si riceve egli stesso in dono. Nel suo ruolo di Madre, ha, per la sua vita e in collaborazione con Giuseppe, allevato, educato il suo Figlio Gesù, contribuendo così alla sua crescita e al suo sviluppo. Maria è la Madre di Dio, non solo perché ha generato e dato alla luce il Figlio di Dio, ma perché lo ha anche accompagnato nella sua crescita umana. In realtà, il bambino Gesù era sottomesso a Giuseppe e a Maria, e pertanto disposto a ricevere l’educazione, aperto all’azione educatrice di Maria e Giuseppe, che gli occorreva «per crescere in saggezza, in taglia e in grazia davanti a Dio e davanti agli uomini» (Lc 2, 40. 51-52). In Maria, Madre ed educatrice, Gesù trovava un modello a seguire ed a imitare, un esempio di amore perfetto verso Dio e gli uomini. Maria lo ha aiutato a formarsi alla sua missione iniziandolo alla cultura e alle tradizioni ebree[36].

Ma Gesù era stato così ben educato che Maria, a sua volta e allo stesso titolo che i discepoli, stava per essere educata da lui. Che Maria sia stata educata dal suo Figlio, certe parole di Gesù, che si potrebbe dire di tenuta in disparte (cf. Lc 2,49; Mc 3,34-35), l’attestano. Gesù, ormai educato, invita la sua Madre a mettersi in cammino verso la scoperta della sua identità materna spirituale. Tra Maria e Gesù, la relazione educativa si è rotta affinché costui costruisca e realizzi il progetto per cui è venuto al mondo, e quindi affinché non rimanga in una relazione di dipendenza, ma di autonomia. Maria ha saputo porre fine alla sua relazione educativa con Gesù, relazione che rischiava di essere un ostacolo al suo spiegamento messianico. L’autorità educativa di Maria ha così ceduto posto all’autonomia di Gesù che, a sua volta, l’ha iniziata alla fede.

Maria, educatrice e educata, è modello di tutti gli educatori, da cominciare con i genitori, la cui missione consiste nell’essere al servizio dello sviluppo integrale delle persone da educare per una vita sociale, politica e economica conforme al disegno di amore di Dio. Questa vita, che implica l’educazione morale, dovrebbe tenere conto della logica del dono che ha senso solo nella gratuità[37]. La logica del dono è la legge di ogni vita che può essere tale solo grazie allo spirito di cooperazione le cui competenze sono l’empatia e la capacità d’impegno. La cooperazione, in quanto scambio tra persone diverse ma capaci di apprendere le une dalle altre e di arricchirsi mutuamente, sta al fondamento di ogni vita in società, suppone l’apertura e l’attenzione all’altro, e deve essere sviluppata e approfondita.

Conclusione

L’etica del dono che ispira la maternità divina di Maria si illustra in ogni gesto, o azione, atto a donare all’altro, considerato assolutamente come fine in sé, la possibilità di vivere, di mirare a obiettivi e di considerare se stesso come essere fine in sé. Si declina così in forma di apporto di qualcosa di fisica, di materiale (nutrizione, riparo, cure mediche, ecc.) a favore degli esseri umani che ne hanno bisogno ma sono incapaci di munirci loro stessi. Ma lungi da limitarsi a questo apporto di ordine materiale o fisico, l’etica del dono si manifesta anche in forma di apporto intellettuale, artistico, affettivo e morale, la cui specificità riguarda essenzialmente la dimensione spirituale dell’essere umano. Si tratta allora di donare, grazie a una istruzione adeguata, i mezzi necessari all’altro per implicarsi nel proprio sviluppo di essere-di-dono capace di atto di dono nella doppia dimensione ricettiva e donativa, passiva e attiva.

L’etica del dono che ispira la maternità divina di Maria è ancora quella del dono che consiste nel lottare al posto dell’altro e per lui contro la sua tendenza naturale a ridursi all’insieme delle sue caratteristiche intellettuali, affettive e psicologiche e a vivere in conformità. Si tratta allora di aiutarlo a conoscere la verità del suo essere, a non vivere nell’oblio di questa verità o ridurla all’ordine naturale. L’etica del dono si manifesta così nell’educazione morale, il cui scopo è condurre altrui alla maturità morale. Questa ultima, che consiste nell’acquisizione delle virtù di prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, è accessibile solo se si è educato secondo la verità dell’essere umano come essere-di-dono ed a agire nello spirito del dono. Questo spirito, che vuole che si rispetti gli altri, prenda cura di loro e li stimi, suppone una personalità educata i cui componenti sono l’empatia, la bontà, il senso di responsabilità, il sentimento di appartenenza sociale, la coscienza personale, il controllo di sé e quanto s’iscrive nell’ethos di dono, quale carattere fondamentale di una vita moralmente buona.

[1]  Giovanni Paolo II, Veritatis splendor (6 agosto 1993), Lettera enciclica circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa, 29.

[2]  Ibidem.

[3]  Concilio Vatican II, decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius (Roma, 28 ottobre 1965), n.16.

[4]  François Athané, Pour une histoire naturelle du don, Presses Universitaires de France, Paris 2011 ; Alain Testart, Critique du don. Études sur la circulation non marchande, Éditions Syllepse, Paris 2007.

[5]  Il terzo tipo di trasferimento raggruppa l’imposta, la pensione, i risarcimenti, le ammende, mentre il quarto si riferisce al furto, rapina, racket, saccheggio, estorsione, truffa, prevaricazione.

[6]  Cf. Fr. Athané, Pour une histoire naturelle du don, 199 (traduzione mia).

[7]  Cf. ibidem.

[8]  Cf. ibid., 230

[9]  A. Testart, Critique du don, 22 (traduzione mia).

[10]  Conviene precisare qui che con il dono il donatario può trovarsi assolutamente bisognoso, non avere nulla né niente da cedere in contropartita.

[11]  Cf. Philippe Poirier, Don et management. De la libre obligation de dialoguer, L’Harmattan, Paris 2008, 39-40.

[12]  Il dono perverso suppone un donatore pervertito che non dona ma prende, e un donatario pervertito che rifiuta di donare a sua volta, cf. Ph. Poirier, Don et management, 37-38.

[13]  Cf. Giovanni Paolo II, Centesimus annus (1 maggio 1991), lettera enciclica nel centenario della Rerum novarum (d’ora in poi CA), 41.

[14]  Francesco, Laudate si (24 maggio 2015), lettera enciclica sulla cura della casa comune, 76: «[…] la creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale».

[15]  Cf. CA, 38.

[16]  Cf. Concilio Vatican II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes (Roma, 7 dicembre 1965), 22.

[17]  Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), Lettera apostolica sulla dignità e la vocazione della donna in occasione dell’anno mariano (d’ora in poi MD), 7.

[18]  Troviamo nell’Incarnazione, quale unione a Maria da cui Dio diventa uomo, «l’inizio di quella risposta definitiva, mediante la quale Dio stesso viene incontro alle inquietudini del cuore dell’uomo», cf. MD, 1-3.

[19]  Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater (25 marzo 1987), lettera enciclica sulla beata Vergine Maria nella vita della Chiesa in cammino (d’ora in poi RM), 8-10.

[20]  Cf. RM, 39.

[21]  Cf. RM, 20. A proposito di Maria Balthasar scrive il testo seguente tradotto da me: «Ella dà alla luce Gesù e l’alleva, è contemporaneamente una Madre per la sua opera, e questo sotto tutti gli aspetti. Ma lo avvolge ritirandosi, lasciando fare, aprendo uno spazio. Non decide niente, è serva e desidera che gli altri comprendono il sua atteggiamento (Gv 2,5). È seno e terreno dove il seme divino può trarre tutto ciò che gli è necessario», Balthasar Hans Urs von, Le complexe antiromain. Essai sur les structures ecclésiales, Apostolat des Éditions, Paris 1976, 303.

[22]  RM, 20.

[23]  RM, 21.

[24]  Cf. Alfonso Maria dei Liguori, Le Glorie di Maria, VII, in http://santorosario.net

[25]  RM, 21.

[26]  RM, 22.

[27]  Cf. Denis B, «Le principe marial dans l’Église», in Aletheia, 30 (2006), 73.

[28]  MD, 4.

[29]  MD, 5.

[30]  Conviene annotare qui che l’etica del dono s’iscrive nella retta linea dell’amore preferenziale della Chiesa per i poveri secondo la logica del dono, logica della verità su Dio che redime, è fonte di ogni dono e manifesta il suo amore preferenziale per i poveri e gli umili (cf. Lc 1, 46-55; 4,18).

[31]  Cf. RM, n 37; Congregazione per la dottrina della fede, Istruzione su «Libertà cristiana e liberazione» (22 Marzo 1986), 97

[32]  Cf. Philippe Poitier, Don et bientraitance. Mobiliser les ressources fragiles, Chronique sociale, Lyon 2012. Roberto Repole, Dono, Rosenberg & Sellier, Torino 2013; Susy Zanardo, Nelle trame del dono. Forme di vita e legami sociali, EDB, Bologna 2013.

[33]  Cf. Martin M. Lintner, «Dono o e debito, tra scienze umane e teologia. Prospettiva etico-teologica», in La creazione come dono (Seminario di ricerca sulla custodia del creato – Roma, 15 giugno 2010), in http://www.chiesacattolica.it/

[34]  Benedetto XVI, Caritas in veritate (29 giugno 2009), Lettera enciclica sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità, 2.

[35]  Benedetto XVI, Deus caritas est (25 dicembre 2009), Lettera enciclica sull’amore cristiano, 34.

[36]  Cf. Giovanni Paolo II, «Audienza generale: Educatrice del Figlio di Dio», in http ://www.vatican.va

[37]  Una vita sociale, economica, politica e culturale nel senso del gratuito che non ha a che fare con il gratis, suppone che le azioni che la promuovono siano pensate e realizzate perché sono buone in sé.

P. Aristide Gnada CSsR., (Provincia de Africa del’oeste)