Una Santità per tutti

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Nella recente esortazione apostolica Gaudete et Exultate, papa Francesco ripropone la santità come percorso possibile per tutti. La sua è una visione popolare della santità che vuole rispondere alla domanda “Come si fa per arrivare ad essere un buon cristiano?”.

Ebbene, il percorso che Papa Francesco indica è quello del “santo della porta accanto” che, nel nascondimento e nell’anonimato, realizza la sua vocazione battesimale “vivendo con amore e offrendo la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali”.

Pertanto, il santo non è un supereroe, ma un uomo che prende sul serio le parole di Gesù e le vive con fedeltà e creatività, pur nei suoi limiti: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Esiste, dunque, una santità possibile per tutti. Sant’Alfonso ne era convinto in un’epoca nella quale certi percorsi di avvicinamento a Dio non erano per tutti. E, invece, lui si è rivolto soprattutto ai lontani annunciando una possibilità per tutti di essere santi e offrendo mezzi e modi per arrivarci. Nella Pratica di amar Gesù Cristo sintetizza così il cammino verso la perfezione: “Chi ama Gesù Cristo fugge la tepidezza ed ama la perfezione. Cinque sono i mezzi per uscir dalla tepidezza ed incamminarsi alla perfezione: 1. Il desiderio. 2. La risoluzione. 3. L’orazione mentale. 4. La comunione. 5. La preghiera”.

A proposito del primo di questi “mezzi”, “è un grande errore – spiega Alfonso – poi quel che dicono alcuni: Dio non vuol tutti santi. No … Iddio vuol tutti santi, ed ognuno nello stato suo, il religioso da religioso, il secolare da secolare, il sacerdote da sacerdote, il maritato da maritato, il mercadante da mercadante, il soldato da soldato, e così parlando d’ogni altro stato”. E, citando Santa Teresa di Lisieux, la sua grande avvocata, Alfonso continua: “I nostri pensieri sieno grandi, che di qua verrà il nostro bene … Dio non lascia di pagare qualunque buon desiderio in questa vita, mentr’egli è amico di anime generose”. Pertanto, lungo questo cammino tutti sono accolti e tutti hanno la stessa possibilità di farsi santi!

Questa tesi, poi, fu sposata anche dal Concilio Vaticano II che, nella costituzione Lumen Gentium, si espresse così: “È chiaro che tutti i cristiani, in qualsiasi stato o impegno di vita, sono chiamati alla santità della vita cristiana ed alla perfezione dell’amore”. Qualcuno potrebbe pensare che una santità possa o debba essere verificata da segni particolari.

Niente di più sbagliato: “La santità – afferma sant’Alfonso in Due scritti inediti sul quietismo – consiste in tre cose: Fede senza segni, Speranza senza pegni, Carità senza premi. Giovano i lumi, i miracoli per la fede; i doni e le promesse per la speranza; le carezze e le unioni per la carità. Ma tali cose non dobbiamo pretenderle, ma fondarci nella veracità e bontà di Dio.

Anche altre forme, che per molti sono rivelatrici di santità, vengono messe in discussione da Alfonso che, nell’opera “Pratica di amar Gesù Cristo”, ammonisce: “Oh quanto s’inganna – dice san Francesco di Sales – chi ripone la santità in altro che in amare Dio! Altri
– scrive il santo – pongono la perfezione nell’austerità, altri nelle limosine, altri nell’orazione, altri nella frequenza de’ sagramenti. Io per me non conosco altra perfezione che quella di amare Iddio di tutto cuore; poiché tutte le altre virtù senza l’amore non sono che una massa di pietre. E se non godiamo perfettamente questo santo amore, il difetto viene da noi, perché non finiamo di darci tutti a Dio”.

Facciamo ora un passo in avanti. Alfonso ci introduce nell’amore verso Gesù e sempre nella “Pratica di amar Gesù Cristo” afferma che chi ama Gesù Cristo non vuol altro se non quel che vuole Gesù Cristo. Entriamo così in un tema molto caro alla spiritualità di Alfonso: l’uniformarsi alla Volontà di Dio. Nelle sue opere tanti sono i riferimenti a questo indispensabile atteggiamento. Nella “Pratica di amar Gesù Cristo”, Alfonso scrive: “… tutta la santità e perfezione di un’anima consiste nel negare se stessa e nel seguire la volontà di Dio … poiché la sostanza di tutti i precetti e consigli divini si ristringe in fare e patire quel che vuole Dio e come lo vuole Dio. … Ecco pertanto quale dee esser l’unico scopo di tutti i nostri pensieri, delle azioni, de’ desideri e delle nostre preghiere, il gusto di Dio…”

E a questo punto, come non ricordare la figura di san Gerardo Majella, un degno figlio di Alfonso? Spesso nelle sue lettere parla della “bella Volontà di Dio” e altrettanto spesso afferma:“voglio, voglio, voglio, non quello che voglio io ma ciò che vuole Dio”.

Sant’Alfonso mette sempre in guardia quelli che vivono la Volontà di Dio: “Molti diciamo: Signore, vi dono tutta la mia volontà, non voglio altro  se non quel che volete voi; ma quando poi ci avvengono le cose contrarie, non sappiamo quietarci colla divina volontà. E qui ne nasce quel lamentarci di aver mala fortuna in questo mondo, e ‘l dire che tutte le disgrazie son le nostre, e di fare una vita infelice”.

Ora, forse, possiamo cogliere maggiormente il significato di una frase che San Gerardo, certamente rammentando l’esperienza di Gesù al Getsemani, volle apposta sulla porta della stanza dove visse durante la dolorosa malattia che lo  condusse  alla morte in giovane età: “Qui si sta facendo la Volontà di Dio, come piace a Dio e finché vuole Dio”.

P. Luciano Panella, CSsR

luciano_panella@libero.it