Imparare a pensare e a vivere in modo nuovo

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(dal Blog dell’Accademia Alfonsiana)

In questi giorni abbiamo imparato che tutti noi abbiamo una responsabilità sociale, per cui abbiamo accettato di restar barricati in casa al fine di non contagiarci reciprocamente; questa stessa responsabilità dovrebbe costituire d’ora in poi il fondamento del nostro vivere in comunità, non soltanto nei momenti di emergenza. Infatti, ci troviamo dinanzi a una situazione completamente nuova e inattesa che ci costringe a maturare e a modificare il nostro modo di pensare, ad assumere atteggiamenti diversi, a cercare nuove vie per servire il popolo di Dio. Dio, che è il Signore della storia, parla nella storia e ci chiede di accogliere con fiducia la sua volontà, che si manifesta anzitutto nel ricorrere degli eventi, ma passa anche attraverso la legge positiva promulgata dalle Autorità civili. Anche Gesù ha obbedito al progetto del Padre, sottomettendosi nel quotidiano alla legittima Autorità del suo popolo ed anche a quella, considerata illegittima, dell’Impero di Roma. Oggi più che mai dobbiamo proclamare con forza, ad alta voce, che Dio non rinuncia al suo intento di rendere nuove tutte le cose; in questo momento di dolore, ciò avviene mediante una rigenerazione che non deve mai perdere di vista il mistero della Pasqua.

Nel momento in cui stiamo vivendo si evidenziano le fessure apertesi nei sistemi politici ed economici che regolamentano la vita delle nazioni e che sembravano voler garantire a oltranza il benessere conquistato; le fessure sono diventate crepe e poi squarci profondi che mostrano palesemente la loro incapacità a reggere la struttura. Anche la cosiddetta cultura dei diritti deve cedere il passo di fronte ad altre esigenze diventate nel frattempo prioritarie. Ci troviamo di fronte a un nemico invisibile che ha superato disinvoltamente i confini tra gli Stati – anche di quelli che invano tentavano di erigere barriere – e viaggiando sugli aerei nel corpo di ignari passeggeri. Il virus è passato in un baleno da un continente all’altro travolgendo quanto incontrava sul suo cammino e facendosi beffe delle nostre certezze, rivelatesi purtroppo ben misera cosa; e continua a circolare seminando sospetti e insinuando il timore anche tra i familiari più stretti.

Tutti si guardano con sospetto, gli amici ci guardano con diffidenza, i rapporti tra le persone sono come sospesi; e pochissimi riescono a dar voce ai sentimenti, a esprimere le paure o le angosce da cui si sentono attanagliati. In pochi mesi, si sono sgretolate tutte le certezze di cui andavamo orgogliosi; e stiamo assistendo a un nuovo, faticoso secondo inizio in cui molte cose saranno rimesse in discussione.

Le circostanze ci impongono un cambio di passo, ci chiamano a una conversione radicale: se vogliamo vivere in pace con noi stessi e con gli altri, ci viene rivolto un invito pressante, anzi imperioso, a mettere da parte il nostro individualismo sfrenato, il nostro narcisismo e ad alzare lo sguardo verso chi ci è vicino, senza tener conto del male ricevuto, a guardare alle sue necessità, riconoscendoci gli uni bisognosi degli altri. Quante volte abbiamo sperimentato di persona che, nel bene come nel male le conseguenze delle nostre azioni ricadono sempre anche sugli altri!

Noi siamo parte dell’umanità e l’umanità è parte di noi in quanto è radicata profondamente in noi; questa interdipendenza è un valore che ci consente di passare ora alla solidarietà in modo più consapevole e di adottarla come scelta di vita. I buoni sentimenti, infatti, non nascono sempre spontaneamente, ne siamo ben consapevoli, né sono di per sé duraturi; sono come i fiori di campo che avvizziscono dopo breve tempo e muoiono. L’esperienza che stiamo facendo in questo periodo è sicuramente dura, ci mette alla prova nel quotidiano; abituati com’eravamo a considerare la casa come un posto per dormire, non per vivere insieme 24 ore su 24, ci ha dato modo di ripensare le nostre relazioni più strette, rivelandosi non solo una fonte di tensioni, ma anche e soprattutto come una vera scuola di umanità. Il futuro ci dirà se siamo stati promossi.

La realtà ci sta mettendo davanti a Dio che ascolta il grido di Israele e fa udire la sua voce a Mosè; che spinge il popolo a mettersi in cammino e apre il mare al suo passaggio. In fondo, però, questo Dio non ci piace, perché costringe chi vuol conoscerlo davvero ad attraversare il deserto, dove non c’è né il cibo dell’Egitto né l’acqua. Anche se non ci fa comodo riconoscerlo, però sappiamo bene che solo affrontando la prova diventeremo adulti.

In un tempo di emergenza come quello che stiamo vivendo la fede e la devozione devono trovare vie nuove. Chiudere le chiese è stato certo doloroso, ma in fin dei conti, se riflettiamo bene, le chiese sono soltanto degli strumenti utili alla comunità dei credenti per ritrovarsi, per far festa, soprattutto per celebrare l’Eucaristia. La Chiesa con la C maiuscola è un’altra cosa, è fatta dai credenti; sappiamo peraltro dalla storia che agli inizi della cristianità le persone vivevano senza chiese, come tuttora avviene in quelle parti del mondo in cui i cristiani sono perseguitati.

p. Gabriel Witaszek, CSsR