(dal blog dell’Accademia Alfonsiana)
Il 18 marzo 2021, il Congresso dei deputati spagnolo ha approvato in via definitiva la Ley Orgánica de regulación de la eutanasia con 202 voti a favore, 141 contrari e 2 astenuti. La legge entrerà in vigore dopo tre mesi dalla sua pubblicazione nel Boletín Oficial del Estado (BOE) [cf. testo approvato dal Congresso dei Deputati con gli emendamenti introdotti dal Senato – sintesi].
La legge, promossa dal Gruppo socialista, introduce nell’ordinamento giuridico spagnolo l’eutanasia. Il testo distingue, nel Preambolo, l’eutanasia attiva da quella passiva e l’eutanasia diretta da quella indiretta e chiarisce che, nel parlare di condotta eutanasica, la legge fa riferimento sia alla eutanasia attiva intesa come “l’azione con cui un operatore sanitario pone deliberatamente fine alla vita di un paziente su sua richiesta, quando si verifica all’interno di un contesto di eutanasia a causa di una condizione grave, cronica e invalidante o di una malattia grave e incurabile, che provoca una sofferenza intollerabile”, sia alla situazione “nella quale il paziente stesso è la persona che pone fine alla sua vita, per cui richiede la collaborazione di un professionista della salute che, intenzionalmente e consapevolmente, offre i mezzi necessari, compresa la consulenza sulla sostanza e le dosi necessarie dei farmaci, la loro prescrizione o anche la loro fornitura affinché il paziente possa somministrarseli”. Questa seconda fattispecie è detta usualmente suicidio assistito, ma correttamente e senza ipocrisie la legge spagnola include anche il suicidio assistito nell’ambito dell’eutanasia: è la morte cercata per fuggire una sofferenza. Nell’eutanasia messa in atto personalmente dal medico, al dramma umano del suicidio si aggiunge la stridente contraddizione tra il ruolo sociale del medico come persona a servizio della vita e il suo diventare agente di morte. Siamo di fronte a un’altra affermazione della cultura della morte che viene contrabbandata come trionfo dell’autonomia della persona.
La legge spagnola circoscrive con precisione le circostanze nelle quali è possibile l’eutanasia, insistendo sulla reiterata richiesta da parte del paziente, sulla presenza di sofferenze insopportabili e non curabili, sulla verifica fatta da un’apposita commissione. Tutte queste garanzie, però, non potranno controllare lo tsunami dell’eutanasia perché una volta che si è affermato il principio che un soggetto in situazioni di grave sofferenza o di patologie incurabili ha il diritto di chiedere e ottenere la morte, sarà ovvia conseguenza ritenere ragionevole la soppressione di soggetti che versano in condizioni analoghe, anche se sono incapaci di esprimere una loro volontà, come potrebbe essere il caso di un neonato o di un cerebroleso. Questo piano inclinato (lo “slippery slope” degli Anglosassoni) si è già verificato in Olanda con il Protocollo di Groningen che estende la eutanasia attiva dai soggetti che la chiedono ai neonati e infanti con bassa qualità di vita che, ovviamente, non sono in condizioni di chiederla. È evidente il carattere eugenetico di questa eutanasia attiva non volontaria che tanto ricorda il famigerato Programma Aktion T4 della Germania nazista.
Nella maggior parte dei Paesi occidentali l’eutanasia è ammessa, di solito tacitamente, nella forma dell’eutanasia passiva. Anche nel caso della eutanasia passiva la morte è data intenzionalmente, ma, a differenza dell’eutanasia attiva, nell’eutanasia passiva la morte viene provocata attraverso la sottrazione di un presidio essenziale alla vita, come potrebbe essere l’idratazione. In Italia, per esempio, la legge 219 del 2017 stabilisce il diritto del malato a rifiutare qualsiasi intervento medico, anche attraverso disposizioni anticipate di trattamento, e precisa che il rifiuto può riguardare anche terapie minimali di sostegno vitale come idratazione e nutrizione (art. 1.5).
Il principio che subordina un intervento medico al consenso dell’interessato è indiscutibile ed è giusto che la legge permetta a un malato di disporre la sospensione o non attivazione di cure sproporzionate, inutili e addirittura dannose e dolorose. Non ogni desistenza terapeutica, insomma, è eutanasica, ma altro è il sacrosanto diritto di morire in pace, senza crudeli accanimenti e inutili interventi eroici, ma accompagnati con amore e sollevati dal dolore attraverso le cure palliative, altro è il diritto a darsi la morte sia pure come risposta ad una patologia che causa una sofferenza prolungata e insostenibile. Nei casi concreti può diventare difficile distinguere fra omissione eutanasica e desistenza terapeutica legittima e questa ambiguità permette alla eutanasia passiva di scivolare tra le maglie di leggi che negano di contenere aspetti eutanasici.
Il passo dall’eutanasia passiva – celata sotto il diritto a non ricevere trattamenti indesiderati – alla eutanasia attiva è breve perché, in ultima analisi, eutanasia attiva o passiva sono modalità diverse di esercitare il terribile e contraddittorio diritto alla morte rivendicando la libertà di autodistruggersi. Si intuisce quanto una patologia prolungata, insanabile, dolorosa possa crocifiggere un malato e portarlo a desiderare la morte, si comprende chi, mosso a pietà da tanta angoscia e sofferenza, si fa complice ed esecutore di un atto eutanasico, ma la comprensione di un dramma umano non può portare a stabilire un diritto e a giudicare accettabile o addirittura buona una scelta di morte.
La Spagna si unisce alla schiera ancora piccola, ma in crescita, dei Paesi nei quali l’eutanasia attiva è ammessa, seppure con modalità diverse. In Europa è legalizzata in Olanda, Belgio e Lussemburgo. In Svizzera è permesso di fatto il suicidio assistito a motivo di un vuoto giuridico. Il Portogallo ha approvato una legge sull’eutanasia, ma è stata bloccata dalla Corte Costituzionale. Nel mondo l’eutanasia attiva è legale in Canada e Nuova Zelanda e, come suicidio assistito, in Australia e nell’Oregon. Una risoluzione del Tribunale Costituzionale della Colombia ha dichiarato legale l’eutanasia, ma il Parlamento non ha ancora approvato una legge attuativa. Analoga situazione a quella colombiana in Italia. In seguito al processo contro Marco Cappato, accusato di aver aiutato nel suicidio Fabiano Antoniani, DJ Fabo in arte, la Corte Costituzionale con sentenza del 25 settembre 2019 ha dichiarato che è illegittimo perseguire penalmente chi “agevola il proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente” [link].
Dopo la sentenza della Corte, manca una sua traduzione in legge Stato, ma già i diversi schieramenti parlamentari stanno lavorando a questo scopo
Le Sirene ingannatrici della cultura di morte – politici, opinionisti, giuristi e filosofi – parlano di civiltà, di progresso, di tutela della dignità, ma sarebbero più convincente nella loro battaglia a favore della persona se vedessimo in loro altrettanta passione e impegno per lo sviluppo delle cure palliative come presa in carico di tutta la persona, dell’accompagnamento terminale, della lotta non solo al dolore, ma al non senso e alla disperazione. Giustamente, commentando la legge spagnola, mons. Paglia, presidente della Accademia per la vita, ha detto: “Alla diffusione di una vera e propria cultura eutanasica, in Europa e nel mondo, si deve rispondere con un approccio culturale diverso. La sofferenza e la disperazione dei malati non vanno ignorate. Ma la soluzione non è anticipare la fine della vita. La soluzione è prendersi cura della sofferenza fisica e psichica. La Pontificia Accademia per la Vita sostiene la necessità di diffondere le cure palliative, non l’anticamera dell’eutanasia, ma una vera cultura palliativa del farsi carico dell’intera persona, in un approccio olistico. Quando non si può più guarire, possiamo sempre curare le persone” [link].
Padre Maurizio P. Faggioni, OFM