(dal Blog dell’Accademia Alfonsiana)
Le parole della profezia di Isaia suonano come una melodia intensa, questo Natale in particolare. È il tempo in cui siamo stati chiamati a combattere contro un nemico appena visibile ai microscopi che fa soffrire, fa paura, blocca l’economia, stronca vite e nessuno lo può fermare. I problemi antichi si mostrano nella loro drammatica profondità, problemi nuovi travolgono tante persone. L’umanità può solo attendere.
Ritornare alla “normalità”
Inevitabilmente il Covid-19 ci sta pro-vocando, sta facendo mettere in discussione le scelte di fondo, i valori a cui ciascuna persona ha orientato tutta la sua vita. In un mondo avvolto dalle tenebre dell’incertezza e che combatte tra il desiderio del “ritornare alla normalità” e l’inconscia consapevolezza che “nulla sarà come prima”, col Natale nuovamente il Mistero irrompe e bussa alla porta del cuore di ogni uomo e donna.
La celebrazione della tenerezza
Festa di luce e di gioia, celebrazione del Dio della vita. Nella tenerezza del bimbo di Betlemme: «Il Verbo Eterno, da Dio si fece uomo, da grande si fece piccolo, da Signore si fece servo, da innocente si fece reo, da forte si fece debole, da suo si fece nostro, da beato si fece tribolato, da sublime si fece umile», scrive sant’Alfonso in un’opera sull’Incarnazione. Un Dio che ama la vita fino a voler assumere in persona la carne umana senza pretendere nulla: «Avesse preteso colla sua venuta di farsi temere e rispettare dagli uomini, più presto avrebbe presa la forma d’ uomo già perfetto e di dignità regale; ma perché egli veniva per guadagnarsi il nostro amore, volle venire e farsi vedere da bambino, e tra’ bambini il più povero ed umile, nato in una fredda grotta, in mezzo a due animali, collocato in una mangiatoia e steso sulla paglia senza panni bastanti e senza fuoco. Sic nasci voluit qui amari voluit, non timeri» (sant’Alfonso, Novena al Natale). Il Dio bambino accende la speranza del credente, illumina le ore buie della storia, infonde all’essere umano la forza di rinascere anche da situazioni che sembrano irreversibili (cfr. Evangelii gaudium, n. 276).
Con lo sguardo agli “abbandonati”
In questi giorni più che mai è quasi spontaneo volgere l’attenzione a chi vive in condizioni di povertà, di precarietà e fragilità, aumentati esponenzialmente. Tra queste persone, particolare tenerezza suscitano le persone con disabilità, che hanno pagato un prezzo altissimo per la pandemia. Adesso, loro non possono accelerare i ritmi per recuperare il “tempo perduto”. Quella della disabilità è esperienza di una corporeità ferita, ma che non annulla, né diminuisce la dignità della persona umana, che invece va valorizzata con una creatività che sappia andare al di là dei limiti. In questi giorni natalizi in cui siamo chiamati a riflettere sulla fragilità assunta e redenta dal Verbo di Dio potrebbe essere significativo riflettere e inventarsi occasioni e iniziative per valorizzare queste persone. Guardare il mondo dalla prospettiva di una persona che non ha l’uso delle gambe non può far scorgere nuovi orizzonti? Ascoltare una persona sulla sedia a rotelle comporta lo sforzo di abbassarsi, di andarle incontro, prestare attenzione, perché tante volte la voce è così delicata che occorre un udito acuto per cogliere ciò che desiderano comunicare. Chinati su di loro, non si può sentire la forza della compassione e dalla condivisione muovere dal cuore? E che dire delle famiglie delle persone con disabilità. Chi ha accolto la loro solitudine nei vari lockdown? Il Dio Bambino, sceso nella fragilità chiede di non volgere lo sguardo altrove. Tutti ci dobbiamo rialzare, tutti dobbiamo riprendere le nostre vite, i nostri sogni, i nostri progetti, ma proprio tutti. Il vero dono del e per Natale è la vita condivisa, il vero banchetto è farsi pane spezzato per gli altri. Sia per tutti un Natale di condivisione solidale e corresponsabile.
Filomena Sacco