Martiri di Madrid – riflessione di P. Antonio Marazzo

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P. Antonio Marazzo, CSsR, il postulatore generale per la causa, condivide la sua riflessione sulla testimonianza di vita dei nostri confratelli crudelmente martirizzati a Madrid nel 1936, durante le persecuzioni religiose, e sull’importanza della loro beatificazione per i Redentoristi di oggi (video in italiano, con sottotitoli in inglese e spagnolo).

Il testo della riflessione:

Tra il 20 luglio e il sette novembre 1936, in Spagna e specificamente a Madrid, furono trucidati dodici Redentoristi. La Chiesa nel definirli martiri, intende ricordarci sempre una cosa:  Che avere fede significa vivere la vita fino in fondo e vivere una vita in comunione con Cristo.

Chi sono state queste persone? Credo che una delle definizioni più belle la dà proprio il fondatore dei Redentoristi, Sant’Alfonso. Nella sua opera Vittoria dei martiri: Dal considerare i grandi esempi di virtù che diedero i santi martiri nel tempo del loro martirio, si impara a confidare in Dio.

Chi sono stati? Erano sei sacerdoti e sei fratelli provenienti da due comunità, quella del Santuario del Perpetuo Soccorso e quella di San Miguel. Con l’inizio della guerra civile, il 17 18 luglio, i nostri confratelli furono costretti ad abbandonare. Ma hanno tutti avuto il coraggio alla fine, quando sono stati presi di testimoniare che quello che erano religiosi, missionari redentoristi, persone che credevano in Cristo, alcuni nel morire hanno avuto anche il tempo di gridare Viva Cristo Re!

Ma consideriamo una cosa, il martirio è l’ultimo atto di una vita che sono stati prima. Queste, persone come tanti, hanno avuto i loro problemi per vivere pienamente non solo la vita consacrata, ma soprattutto la realtà missionaria. Lo hanno fatto con generosità. Lo hanno fatto con tanta carità l’uno verso l’altro ed è una cosa che, diciamo, fa pensare, soprattutto nel mondo di oggi.

Fra questi martiri, ci sono due confratelli molto interessanti uno ormai anziano, quasi cieco. Che non ce la faceva a vivere praticamente a sussistere da solo. Poi, un fratello come l’altro, come questo confratello cieco, ma non lo ha abbandonato ed ha vissuto il martirio con lui pur di non lasciarlo solo. Questo fratello era molto giovane.

Un gesto di dono di vita, ma anche un gesto che ci dice quanto è importante sentire l’altro come propria carne, sentirlo come fratello, sentirlo come prossimo; e si tratta non di sacerdoti, ma di consacrati che offrivano il loro servizio nella comunità. Sono andati avanti fino alla fine, fino alla morte.

Cos’è la missionarietà? Considerando questi dodici martiri, vedete. Essere missionari significa fare una scelta di fondo che io continuerò fino a che avrò vita ad annunciare Cristo, a parlare di lui, a farlo conoscere agli altri. Queste persone lo hanno fatto addirittura nei momenti peggiori, quando erano nascosti. Quando si sono ritrovati in carcere hanno continuato la loro azione missionaria con i carcerati che vivevano la stessa situazione che stavano per affrontare la morte. A dare coraggio, a dare speranza, ma non solo, a dargli la prospettiva di una vita nell’aldilà con Dio, ma a dare un senso a quello che c’era stato prima. A tutto un percorso di vita. Perché la morte di un martire dà il senso a tutta la vita di questo martire. Non si può arrivare al martirio se non c’è stato un esercizio delle virtù e delle virtù cristiane.

L’amore al prossimo non è tanto un aspetto come a me piace dire di espressione dolce a livello morfologico del volto, ma è soprattutto un’attenzione vera di quello che l’altro è. Non è compiacere l’altro, ma preoccuparsi di ciò che è buono per l’altro, di ciò che è giusto per crescere insieme, per condividere insieme quello che sono le possibilità che Dio ci ha dato, la sua forza, la sua energia, il suo coraggio.

Noi Redentoristi viviamo la comunità apostolica dove non è detto che siamo sempre in una situazione di annuncio esplicito. A volte l’annuncio va dato ai confratelli che abbiamo accanto, con una testimonianza. Solidarietà che non è niente altro che la condivisione o quello che viene chiamato servizio, che è la stessa cosa perché nessuno è servo di un altro. Solo uno si è fatto tale ed è stato Cristo.

Questo significa fare Chiesa, mettere insieme le nostre possibilità. Il martirio di queste persone ci insegna tutto questo. Ci insegna che senza una vera comunione con Cristo non si può guardare l’altro come fratello senza lasciare che Cristo ci diventi dentro di noi quel prossimo che noi desideriamo come aiuto. Noi non diventeremo mai aiuto per l’altro e non daremo mai quella testimonianza che questi dodici persone hanno avuto il coraggio di dare. Sono stati presi con violenza dalla sera alla mattina, portati fuori, a volte ammazzati lungo il ciglio di una strada.

Di alcuni non si è trovato neanche il cadavere. Altri sono stati prima trucidati e poi fucilati. E terribile. Forse se noi ci pensiamo ce lo figuriamoci come in un film dell’orrore ci viene paura, ci viene lo spavento, ci viene il timore, il panico con la domanda. Chissà se noi avremmo avuto il coraggio di non rinnegare Cristo. Ecco qui quello che dice Sant’Alfonso. Qui interviene la potenza di Dio, Dio che non ci abbandona perché lo conosciamo e lui ci conosce perché ha trovato spazio e noi gli abbiamo lasciato spazio perché noi l’abbiamo fatto diventare. Questa parola, che con la nostra carne, con la nostra vita, diventa ancora una volta storia di salvezza e di redenzione. Missionarietà significa questo, Fare i missionari significa diventare annunciatori espliciti della parola. Ma con le parole e con le opere. Opera che non sempre significa dare, molte volte solo significa essere presente nella vita dell’altro, pur se in modo silenzioso, ma presente come fratello, come amico, come colui che ascolta, come colui che comprende, come colui che come Dio usa la misericordia del perdono.

Noi viviamo questa beatificazione con questo anelito, con questa speranza, poterlo imitare, non tanto imitare quello che hanno fatto. Imitare questo spirito. Imitare questo senso profondo di adesione a Cristo e alla Chiesa. Questa accettazione di diventare sua parola che oggi diventa annuncio lenitivo per gli altri. E preghiamo affinché questi dodici martiri, queste dodici persone, diventino continuino meglio ad essere per noi segno di una missione che aiuta chi incontriamo ogni giorno sul nostro cammino.

Padre Antonio Marazzo CSsR