Ripacandida, luogo alfonsiano e gerardino da riscoprire

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Ripacandida: Chiesa di Santa Maria del Sepolcro (wikipedia.org).

Padre Vincenzo La Mendola CSsR scrive dell’interessante contributo alla storia e alla spiritualità redentorista che si trova nel libro di Rocco Rizzo dedicato al monastero delle Carmelitane Scalze di Ripacandida, in Basilicata, nel sud Italia.

R. Rizzo, Un giardino di delizie per il Signore. Il monastero carmelitano di Ripacandida e la madre priora Maria di Gesù, Città del Vaticano 2013, pp. 126.

Anche se sono trascorsi nove anni dalla pubblicazione del volume di p. Rocco Rizzo, frate conventuale e rettore del Collegio dei penitenzieri della basilica di San Pietro in Vaticano, vale la pena far conoscere a quanti sono interessati alla spiritualità alfonsiana, gerardina e redentorista, in senso più lato, un lavoro che vi apporta senz’altro un notevole e originale contributo.

P. Rocco, nativo di Ripacandida, ricercatore e studioso di storia locale, specialmente di quella religiosa, offre ai lettori il frutto delle sue ricerche bibliografiche e del suo studio sistematico delle fonti storiche, relative al locale monastero di San Giuseppe, dando vita alla prima pubblicazione storica sull’argomento, finora menzionato nella storiografia locale, senza il supporto di tutte le fonti, vagliate e interrogate con una appropriata metodologia storica.

Abitato per quasi duecento anni dalle monache Carmelitane scalze e santificato dall’esperienza mistica di suor Maria di Gesù [al secolo Felicia Araneo] della Santissima Trinità (1723-1803), più volte priora della comunità, personaggio di primo piano nella storia religiosa femminile della Basilicata, nel secolo dei Lumi, e additata dal primo biografo di sant’Alfonso (p. Antonio Maria Tannoia) come colei che fece rifiorire in Ripacandida lo spirito di santa Teresa, il monastero ripacandidese rappresenta una delle tappe più significative della diffusione della riforma teresiana nel meridione d’Italia.

Autore navigato di apprezzate monografie storiche, l’Autore inscrive le vicende della sua biografata nella storia religiosa della Basilicata, soffermandosi su un segmento di storia religiosa della diocesi di Melfi-Rapolla nel secolo XVIII, e in modo più analitico sul vissuto della comunità ripacandidese, caratterizzata dalla vulcanica attività pastorale dell’arciprete don Giambattista Rossi (1690-1766), fondatore del monastero e continuatore dell’opera pastorale del fratello don Giovanni (1679-1751), di cui fu anche biografo. Ricordiamo che la parabola esistenziale di Giambattista Rossi è stata oggetto di un’altra corposa pubblicazione di p. Rizzo, Il Parroco santo di Ripacandida, stampata dalla libreria Editrice Vaticana nel 2016.

La narrazione, documentata e arricchita da frequenti opportune citazioni infra-testuali, si concentra sull’iter umano e spirituale della mistica lucana, lasciando emergere sullo sfondo il cammino della comunità monastica, di cui era membro, nella fase iniziale della sua costituzione e nella difficile ricerca di stabilità interna.

Con le fonti a sua disposizione, individuate con paziente investigazione e analizzate con acribia, p. Rocco ricostruisce il contesto familiare, l’infanzia e la prima giovinezza di Felicia Araneo, per passare alle vicende che precedettero la fondazione del monastero, prima, ritiro per zitelle o conservatorio e infine monastero con clausura papale, aggregato canonicamente all’Ordine dei Carmelitani Scalzi. Ed è proprio nella ricostruzione delle singole tappe che segnarono l’evoluzione della fondazione religiosa che la biografia della carmelitana si fonde con le vicende del suo monastero, e con quelle dei personaggi che con esso ebbero rapporti isitituzionali a diverso titolo.

Affascinato dalla spiritualità di Teresa d’Avila il Fondatore, formava alla vita spirituale alcune ragazze in vista della realizzazione dell’opera, alla quale avrebbero concorso, in modo loro proprio, i vescovi che si susseguirono nella diocesi di Melfi, il duca di Ripacandida don Tommaso Mazzaccara, e la clarissa suor Maria Battista de Vito, del Monastero melfitano di San Bartolomeo, prima istitutrice, superiora e maestra delle novizie. La menzione di questi e di altre “personaggi minori” rimanda ai rapporti tra le varie istituzioni locali, impegnate in modi diversi, nella fondazione di un monastero, che avrebbe costituito un punto di riferimento per la monacazione delle figlie della nobiltà e borghesia locale e un luogo in cui istruire giovani educande, in assenza di strutture scolastiche femminili.

Il Conservatorio, inaugurato il 15 ottobre 1735, mosse i suoi primi passi districandosi tra i problemi legati alla struttura, che da casa abitata veniva trasformata in monastero, e le inevitabili difficoltà legate alla sua configurazione canonica, non esente da ritardi e inghippi burocratici.

La descrizione dell’iter formativo di suor Maria di Gesù apre una finestra sul vissuto regolare della prima comunità carmelitana, contrassegnato dall’austerità e dal fervore, favoriti dall’accesa predicazione del Fondatore e dall’intervento periodico di religiosi appositamente intercettati. Nel 1737, dopo reiterate richieste, giungeva il Decreto di perpetua clausura che avrebbe conferito all’istituzione lo status di monastero di vita contemplativa, se non fossero sopraggiunti ostacoli da parte dell’autorità episcopale, che ne ritardavano la effettiva applicazione, a causa della mancata costruzione del giardino, frapposta come conditio sine qua non. Ottenuto l’exequatur, e adempiute le clausole richieste, il Decreto pontificio entrerà in vigore soltanto nel 1747. L’anno successivo, suor Maria di Gesù, per la prima volta, veniva eletta priora, trovandosi alle prese con il governo di una comunità giovane, nel pieno del suo slancio inziale e in costante crescita numerica.

Tra il 1749 e il 1750 giungeva nella diocesi di Melfi sant’Alfonso Maria de Liguori, con un drappello di missionari, tra i quali spiccava il venerabile p. Paolo Cafaro (1707-1753), direttore spirituale dello stesso Alfonso e poi di san Gerardo. Durante la missione di Ripacandida, il fondatore dei Redentoristi predicò gli esercizi spirituali alle Carmelitane scalze, edificato dalla loro vita austera e dalla stretta osservanza della primitiva Regola. La efficace predicazione del santo fu sugellata da un prodigio avvenuto sotto gli occhi della comunità: il crocifisso, posto accanto al missionario, durante una predica sui novissimi, assumeva sembianze umane, grondando vivo sangue.

Fu l’inizio di un fitto rapporto di fiducia e accompagnamento spirituale, concretizzatosi in una significativa, seppur breve, corrispondenza epistolare. Sant’Alfonso, autore de La vera sposa di Gesù Cristo, estremamente esigente in materia di vita religiosa e critico verso quella di molti monasteri femminili della sua epoca, dichiarava con evidente stupore: Non avrei mai creduto di trovare un sì bel mazzo di fiori su questa roccia! Se le circostanze e il suo precario stato di salute tratterranno Alfonso dal ritornare a Ripacandida, non potranno impedire che egli mandi alla giovane comunità uno dei suoi migliori congregati p. Carmine Fiocchi (1721-1796), che diventerà consigliere spirituale della mistica lucana e il mediatore intelligente tra la comunità e i diretti superiori ecclesiastici, in momenti di tensione.

In questi frangenti si inserisce la presenza di san Gerardo Maiella a Ripacandida, fin dal 1751. Il parlatorio delle monache, oggi sala comunale, la chiesa di San Giuseppe e “la ruota” divennero i luoghi-simbolo del suo passaggio, testimoni delle sue estasi, apparizioni notturne e del suo fervore, contagiato alle religiose, con infuocati discorsi spirituali. L’amicizia, nata tra quelle mura e sugellata da un patto di mutua preghiera, è testimoniata nelle lettere pervenute, un terzo dell’epistolario gerardino – fa notare l’Autore – autentiche pagine di spiritualità vissuta, in quel lembo di terra ai margini estremi del Regno.

Con argomentazioni pertinenti e chiarezza espositiva p. Rizzo affronta una delle pagine più dolorose della storia del monastero: la crisi dovuta al tentativo di mitigazione della Regola, auspicata dai Carmelitani scalzi di Napoli e non accettata dalla comunità, risoluta all’unanimità a rimanere fedele alla stretta osservanza professata. E’ emblematico, in questo travagliato segmento della storia dell’istituzione religiosa, l’intervento di sant’Alfonso a sostegno di suor Maria di Gesù, accusata perfino di suggestioni demoniache, e l’opera di sapiente mediazione svolta dal p. Fiocchi, abile diplomatico.

Nel capitolo XI l’Autore affronta il delicato argomento dei “fenomeni mistici” che interessarono la vita di suor Maria di Gesù, ritenuti autentici dallo stesso sant’Alfonso che non aveva dubbi sulla fondatezza e la serietà della vita spirituale della carmelitana. Ella, dall’altro lato veniva indirizzata da p. Fiocchi sulla via ordinaria della santità. Diffidente circa i fenomeni mistici, tendenza comune in tutto il Settecento, Fiocchi le indicava a più riprese la via semplice delle virtù. Pur obbedendo con fiducia e camminando per le vie ordinarie e comuni della vita spirituale, suor Maria non fu esente dalla dura prova dell’aridità spirituale, in cui era privata da tutto il sensibile spirituale e sperimentava la notte oscura, il senso del fallimento e il silenzio di Dio, momento di crescita interiore, nel quale ebbe il sostegno e l’amicizia di Gerardo Maiella, anch’egli attraversato dalle purificazioni dei mistici. Sarebbe ripetitivo richiamare il “ministero della consolazione” esercitato dal santo lucano verso quella che considerava madre o sorella spirituale, cifra della sua umanità e della sua sintonia spirituale che legava le due anime.

Le lettere indirizzate da sant’Alfonso a suor Maria di Gesù, in questa fase dolorosa del suo cammino, sono un’autentica testimonianza della soda dottrina spirituale del Santo e un indizio chiaro del suo metodo di direzione spirituale.

Gli ultimi capitoli del volume raccontano la morte di suor Maria di Gesù e si soffermano a descrivere i pilastri della sua spiritualità. Seguono alcune significative testimonianze sulla fama sanctitatis della “santa priora” e la cronaca delle due ricognizioni del suo corpo. La Cronologia della vita di Suor Maria di Gesù, conclude la trattazione, offrendo un quadro d’insieme.

L’ultima sezione del volume riporta un interessante album fotografico, nel quale sono state raccolte un significativo repertorio di immagini, ulteriori fonti storiche che completano la narrazione, introducendo “visivamente” il lettore nei luoghi menzionati e consentendogli di fare una sorta di visita virtuale.

Siamo grati a p. Rocco Rizzo per il suo lavoro che ha tutti i crismi di un saggio storico, come mostrano le numerose note a piè di pagina e la Bibliografia di riferimento in esse puntualmente richiamata.

Pensato e realizzato principalmente per la divulgazione, il testo si presenta scorrevole, anche per la scelta di uno stile e un linguaggio narrativo che rende comprensibile e interessante un argomento che potrebbe sembrare destinato “agli addetti ai lavori”.

Senza dubbio il libro rappresenta un punto di arrivo nella storiografia locale e pone le basi per successive ricerche collaterali, contribuendo notevolmente alla conoscenza della vita di suor Maria di Gesù, alla comprensione del suo messaggio spirituale, e alla storia della vita consacrata nel Settecento lucano. La sua pubblicazione e diffusione è senza dubbio uno dei presupposti necessari e richiesti per l’avvio dell’iter canonico che ci auguriamo porterà all’introduzione della Causa di beatificazione, tanto auspicata dalla comunità di Ripacandida.

Vincenzo La Mendola C.Ss.R.

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