Quando il “diavolo” si veste di dualismo e indossa il manicheismo

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Illustrazione: „Moebius Spew”/Balvis Rubess; CC BY-NC-ND 4.0

L’articolo del prof. Antonio G. Fidalgo CSsR, publicato sul Blog dell’Accademia Alfonsiana

Accettiamo, come alcuni amano fare, che il grande nemico della fede e dell’umanità sia il diavolo. Ebbene, a nostro avviso, questo nemico, per nulla invisibile, molto presente a tutti i livelli dell’esistenza umana, è sempre mascherato e vestito con vari abiti. Vorremmo ora soffermarci su uno in particolare, quello forse più comune, quello che gli calza meglio, quello con cui sovverte tutti i possibili abiti umani, fino a usarlo per sostenere le sue più grandi imposture.

Smascherare il diavolo significa cercare la presenza di ogni tipo di dualismo manicheo che sovverte le realtà umane. Ci sono scelte umane che, gravate da questa scelta diabolica, continuano a dividere, opporre e lacerare la nostra esistenza umana.

Una tentazione seducente di questo modo di attraversare la storia è quella di far disinteressare in vario modo la maggior parte delle persone alle vicende politiche, e non solo alla politica formale e attiva. Il disinteresse per le scelte e le modalità con cui si organizza la nostra vita personale e sociale è la sua più grande vittoria.

Visto da una prospettiva teologica, può essere drammatico che la politica e i politici si occupino di questioni di fede e di teologia, e che la teologia continui a credere che le questioni di fede e di teologia non abbiano nulla a che fare con l’intera realtà politica, ma solo in modo derivato. Infatti, il suo oggetto principale sarebbe Dio in quanto tale e i suoi derivati dottrinali chiari e distinti, e tutto il resto in linea di massima sarebbero solo conseguenze derivate da principi teologici altisonanti, elaborati con carattere universale e assoluto, validi per tutti e in ogni tempo e luogo. Sì, questa è una grande vittoria demoniaca, che ha sempre tentato e sovvertito il senso della religione e in particolare il senso della fede cristiana incarnata nella storia.

Non ci riferiamo solo alla cosiddetta teologia politica o teologia del politico, che è stata indubbiamente un contributo significativo all’epoca. Intendiamo piuttosto dire che la realtà politica doveva essere non solo il punto di partenza ma anche l’orizzonte di comprensione all’interno del quale la realtà umana dovrebbe essere assunta e confrontata e, pertanto, la teologia non potrebbe svolgersi al di fuori di questo orizzonte, dovendo considerare in modo principale e trasversale gli eventi e le vicende politiche, generali e particolari, all’interno delle quali si sviluppa la storia umana, nel bene e nel male.

Come nel caso di alcune opere scientifiche, la stessa teologia non potrebbe cadere nella trappola di svolgere il suo compito solo descrivendo e analizzando la storia come un semplice divenire in cui avvengono determinate scoperte e azioni che arricchiscono o impoveriscono la conoscenza, senza comprendere anche e in primo luogo le reali trasformazioni della comprensione umana e le sue declinazioni concrete, attraverso azioni politiche concrete (qui includiamo la politica in senso lato e le sue estensioni socioculturali ed economiche).

In questo senso, una costante (pre)occupazione dovrebbe essere quella di smascherare tutte le relazioni di potere politico che controllano, opprimono e reprimono il corpo sociale. E da lì, interessarsi a come collaborare in modo inter- e transdisciplinare per portare a una trasformazione complessa e collettiva delle pratiche e delle regole di comprensione e concretizzazione delle opzioni e delle adozioni sociopolitiche degli esseri umani nei rispettivi contesti locali e globali.

Nel nostro contesto accademico ci si aspetterebbe che questo servizio sia esercitato in modo peculiare nella e dalla morale sociale, ma non solo. Tutte le discipline dovrebbero assumere questa impronta, per non lasciarsi sedurre dal demone dualistico che continua a separare, direttamente o molto sottilmente, fede e vita, fede e impegno nella storia.

In ogni momento della nostra storia dobbiamo apprendere e assumere il duro e affascinante compito di camminare con fedeltà creativa, cercando nuovi orizzonti di comprensione e nuove alternative di realizzazione umana. La fede cristiana, a partire dalla sua ispirazione incarnatoria e liberatriceassume questa sfida come centrale

Ecco perché nessun ambiente accademico, che si vanti di essere tale e che voglia essere al servizio di una costante umanizzazione, può abbandonare e/o rinunciare a percorrere la strada della ricerca creativa, sviluppandosi attraverso il lavoro creativo personale e collettivo, attraverso l’investigazione creativa, lasciando emergere una creazione libera senza le limitazioni arbitrarie di qualsiasi tipo di istituzionalizzazione coercitiva. Solo in questo modo, infatti, un’istituzione educativa può creare uno spazio dignitoso a partire dal quale massimizzare le possibilità di realizzazione di questa fondamentale caratteristica umana. Ciò significa, inoltre e soprattutto, affrontare il costante superamento di ogni tipo di elemento distruttivo, oppressivo, repressivo e coercitivo che in mille modi, come residuo storico di un’umanità che non riesce a dispiegare appieno le sue ali di reale dignità e libertà, continua a operare come parte della diabolica azione manichea.

In questa linea, forse la prima cosa da assumere è che in nessun luogo del nostro mondo, oggi esiste una reale democrazia in quanto tale, nemmeno in quei paesi che pretendono di presentarsi come i migliori paesi democratici, perché anche raggiungendo più o meno livelli di concretezza democratica con una certa plausibilità, allo stesso tempo l’umanità in un modo o nell’altro rimane imprigionata, dualisticamente tesa, denigrata per eccesso o per difetto, tra eccessi di povertà ed eccessi di ricchezza, ed altre tante contraddizioni. La giustizia rimane imprigionata nella menzogna delle varie ingiustizie, così la verità della nostra umanità rimane imprigionata in schemi, strutture e sistemi diabolici.

Senza voler entrare in un’analisi dettagliata per meglio esemplificare quanto detto, segnaliamo solo un fenomeno che dovrebbe far riflettere.

Quando le persone (compresi i credenti) si limitano a seguire certi leader politici o religiosi, è già preoccupante. Perché il bisogno di leadership, non del tipo che nel nostro linguaggio chiameremmo pastorale, ma piuttosto comando in azione, come impulso a dare la vita per i proclami dei leader e delle loro ideologizzazioni, è doppiamente preoccupante. Come breve premessa, diciamo che, secondo la logica di Gesù e del suo regno, nessuna opzione di partito sarà mai la realizzazione immediata di questa logica, anche se potrà avvicinarsi molto. Questo non relativizza l’impegno politico, ma lo situa e non lo rende assoluto, il che è già molto. Dovremo sapere come e fino a che punto sporcarci le mani, perché rimanere con le mani pulite non solo sarebbe inautentico, ma anche anticristiano e molto più complice di qualsiasi altra posizione.

Stando così le cose, se si considera il fenomeno che si sta verificando in alcune “democrazie” occidentali, dove alcune idee o gruppi politici di (estrema) destra stanno vincendo alle urne, ci si dovrebbe preoccupare non tanto del fatto in sé, che potrebbe appartenere al necessario gioco politico degli scambi di opzioni, quanto piuttosto degli atteggiamenti di imposizione sugli esseri umani e sulle loro libere scelte e opzioni di vita. È vero che questi elementi non sono sempre stati sufficientemente garantiti dalla cosiddetta sinistra e/o simili. Spesso ci sono stati più discorsi che realtà, ed è in gran parte questo che scatena ogni volta le contrapposizioni dualistiche.

In questo senso, il problema di una vittoria come quella di Trump è significativo e rappresentativo di molte opzioni simili in arrivo, che ora si sentiranno ancora più forti. Al di là della validità politica e di molti altri possibili elementi positivi, è urgente evidenziare le questioni che non solo non vengono recepite in modo più completo e sereno, ma vengono anche ripetutamente manipolate, contraddette, ideologizzate e messe a rischio di ribaltamento. Per citarne solo alcune: i diritti umani fondamentali, in cui le persone e la loro dignità devono avere la priorità su tutti i sistemi politici ed economici, la realtà dei migranti, le questioni dell’identità sessuale e di genere, l’esercizio del potere sulle “risorse” (beni) naturali e la “resistenza” a politiche ambientali globali e a cambiamenti integrali socioculturali negli stili di vita, il continuo sfruttamento dei Paesi più poveri a vantaggio del cosiddetto primo mondo o dei Paesi industrializzati, e così via. In questo modo, il necessario superamento di ogni tipo di colonialismo, patriarcalismo e supremazia del potere economico, informatico e armato sembra essere abbandonato – se non addirittura negato.

Inoltre, si continua a dare vita a figure che, pur facendo bandiera dei valori classici di una certa imposizione cristiano-occidentale, sono comunque personaggi ambigui se non contraddittori, dalle loro scelte di vita personali ai loro stessi modi di pretendere di “difendere” il lato serio della vita, presumibilmente minacciato se non rovinato dai loro avversari o dissidenti.

Il diavolo continua a vincere perché radicalizzando gli estremi, in modo manicheo, divide et impera, chi vince ha il potere e la ragione, tutto il resto non conta, è semplicemente un errore da superare e lasciarsi alle spalle, senza ulteriori indugi. Non si impara dalla storia e non si cercano integrazioni più armoniose nel rispetto delle differenze e delle divergenze. Il diavolo ha vinto ancora una volta conquistando le coscienze con i suoi lussi e le sue promesse di paradigmi di progresso e meritocrazia individuale, declinati sotto la figura del maschilismo e del patriarcalismo (purtroppo assunti sia da uomini che da donne, e molti di loro sono giovani; questo dovrebbe farci interrogare). Non si vuole la pluralità e la diversità, ma solo l’oligarchia di un certo potere declinato come autosicurezza e autoprotezione. Il diavolo ha vinto se continuano a propagarsi politiche neoliberali che propongono il sacrificio della logica della solidarietà collettiva in nome della competizione tra persone e il libero mercato, segnato di una competitività altamente disuguale e squilibrata.

In una visione ispirata alla prassi di Gesù, occorre ricordare che, sebbene il diavolo e tutti i suoi mali siano stati vinti, e quindi non avranno mai l’ultima parola, in questa storia la battaglia per dare spazio primordiale alla saggezza della convivenza fraterna/sororale/solidale è e sarà sempre una sfida appassionante. Il diavolo sconfitto non si rassegna all’ultimo posto nell’andamento della storia, per questo trova sempre adoratori disposti a servirlo cercando di imporre i suoi paradigmi malsani.

Tutto passa e tutto resta, ma questo nostro è un passar -dice un poeta-, passa un anno civile, un anno liturgico, accadono cose, dolori e gioie, fallimenti e successi, scoperte magnifiche e scelte disastrose, e così ci facciamo strada man mano, volendo imparare, volendo tornare sui nostri passi e indirizzare meglio la nostra speranza, per trovare e/o far crescere qualcosa per cui valga la pena continuare a essere umani in questa storia.

Quando ciò che accade e ciò che rimane sono orizzonti bui, scelte ostinate che ci fanno tanto male, trovare le ragioni per continuare a sperare, non solo in un altro mondo possibile, ma semplicemente che ogni mattina vale la pena di continuare a camminare, diventa più difficile. Ma, a partire dalla fede umano-cristiana, qui stiamo e continuiamo a camminare. Perché Gesù ci ha insegnato ad avere un altro sguardo, quello che, nei piccoli e quasi insignificanti dettagli, trova messaggi di alta rivelazione e ispirazione. Perché, anche se tutto accade e accade di tutto, la vita come dono è lì, iniziata per sempre, la sua forza, in un modo o nell’altro, richiede il nostro impegno, la nostra cura e la nostra apertura per riceverla di nuovo.

Gesù si è fatto offerta permanente di vita nuova, perché con lui e da lui sappiamo generare vita nuova, sollevandoci dalla polvere, accendendo luci dalle tenebre cadute, facendo brillare le sapienze della nostra storia, facendo emergere azioni di giustizia umanizzante. Le sue parole e i suoi gesti siano sempre quel tesoro che non si perde, che non passa di moda, che non lasciamo mai da parte per altre ispirazioni, anche se buone e necessarie; e che ugualmente dobbiamo saperle integrare per non sottrarre saggezza, per non perderci e autodistruggerci personalmente e globalmente. Non è solo né principalmente una questione di calcoli, per quanto necessari; è, ancora una volta, una questione di apertura e di generosità, di avventura e di tenacia, di generare ciò che manca piuttosto che lamentarsi di ciò che si perde prima di perdere tutto.