La reliquia di sangue di s. Alfonso M. de Liguori

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Capella del S. Alfonso de' Liguori nella basilica a Pagani.

Il prodigioso evento della liquefazione del sangue di s. Gennaro è conosciuto a livello planetario. Tre volte l’anno migliaia di fedeli si radunano nel Duomo della città di Napoli per assistere al fenomeno e invocare grazie.  L’avvenimento riesce a coinvolgere persone di ogni condizione sociale, credenti e non, tanto da poter affermare che attraverso il sangue del Santo passa la stessa identità napoletana.

Resta invece sconosciuto ai più che nella città partenopea sono diversi i prodigi di liquefazione di sangue; talmente tanti da far definire Napoli dallo scrittore francese Jean Jacques Bouchard (1606-1641) Urbs sanguinum.

Tra questi, quella di s. Alfonso Maria de Liguori: il Dottore della Chiesa, il Santo del secolo dei lumi, il fondatore della Congregazione del Ss. Redentore che oggi conta più di 700 Case in 80 Paesi del mondo. 

Un fatto prodigioso di cui non se ne ha più memoria, nemmeno tra i suoi figli spirituali. 

Eppure, fino a pochi decenni fa centinaia di fedeli si recavano nella chiesa della Mercede e s. Alfonso a Napoli, conosciuta anche col nome della Redenzione dei Captivi, in via San Sebastiano a pochi passi dal Conservatorio di San Pietro a Majella, la stessa dove il giovane e nobile Alfonso de Liguori depose la sua spada ai piedi della statua della Vergine (fig. 1), per assistere, nella ricorrenza del dies natalis del Santo, alla liquefazione del suo sangue conservato in un’ampolla incastonata in un meraviglioso reliquiario.

Per non perdere definitivamente il ricordo di tale straordinario avvenimento bisogna ricostruire le vicende che portarono alla raccolta e conservazione di questa preziosissima reliquia.  

Foto 1. S. Maria della Mercede.

In un attestato del 1885, oggi andato perso, si affermava che il sangue di s. Alfonso, conservato a S. Maria della Mercede, provenisse da un’incisione praticata sul cadavere del Santo il giorno della sua morte. Tuttavia, p. Antonio Tannoia (1727-1808), il suo primo biografo, scrive che quel giorno si tentò di raccogliere del sangue, ma, com’era naturale che fosse e come il Santo stesso aveva predetto, non fuoriuscì alcuna sostanza dalle incisioni praticate. 

In un articolo pubblicato per la prima volta nella rivista redentorista Analecta (fasc.1, 1932, pp.102-106) e successivamente nella rivista S. Alfonso (anno XX, n. 7-8, pp. 88-89) l’autore, p. Klemens Henze (1880-1965), racconta una storia diversa, riportata dal sacerdote napoletano Giunio Arnaldo Nappi, padre spirituale dell’Arciconfraternita intitolata a s. Alfonso, che ha sede nella stessa chiesa di S. Maria della Mercede.

Nel 1785, dunque due anni prima della morte del Santo, parte del sangue prelevato con un salasso fu posto in una piccola fiala da Alessio Pollio, suo cameriere personale, che, successivamente, consegnò alla figlia. Questa, a sua volta la diede ad un sacerdote napoletano, Luigi Petroni, presso il quale lavorava il marito. Quest’ultimo ne fece dono a uno dei nipoti di s. Alfonso, Giuseppe de Liguori (1766-1846), principe di Pollica, figlio primogenito di Ercole.  Il 4 febbraio 1837, il Principe, lasciò  la reliquia all’Arciconfraternita di cui era confratello. Petroni in una lettera, il cui destinatario resta sconosciuto, racconta che il sangue della boccettina, ancora in possesso della donna, con il passare degli anni, si era trasformato in una cenere asciutta e quasi arenosa. Nel 1819, anno della beatificazione del venerabile Alfonso, la polvere si era di nuovo trasformata in sangue. Il prodigio si sarebbe ripetuto ancora l’anno successivo. L’autenticità del fenomeno fu attestata da mons. Pasquale Giusti (1780-1831) Vescovo di Ascalona.

Nel Processo Apostolico di s. Alfonso è riportata ancora un’altra storia. 

Quattro anni prima della morte di Alfonso, dopo un ennesimo salasso praticato al Santo, Alessio Pollio raccolse un po’ del sangue in una boccettina di vetro. Anni dopo, notò che esso non era rappreso ma si manteneva ancora liquido e, stupefatto dal prodigioso evento, consegnò la reliquia al p. Vincenzo Giattini (1752-1827), postulatore generale della Congregazione. Quest’ultimo tenne a precisare tuttavia, in una lettera inviata il 2 febbraio 1821 al p. Nicola Mansione (1741-1823), Rettore Maggiore della Congregazione Redentorista, che non si trattava della stessa fiala in possesso della figlia di Pollio. La reliquia in possesso di p. Giattini, a dire di Henze, potrebbe essere quella che oggi è conservata nella Casa redentorista di Pagani (fig. 2).

Foto 2. Reliquiario di Pagani.

Il 1° agosto 1851, il Rettore della chiesa della Mercede, Vito Ardia, volle che la sacra reliquia fosse esposta alla venerazione dei fedeli. Alle 2 pomeridiane dello stesso giorno, il sacerdote napoletano Gennaro Baccher (1818-1866) fu il primo ad assistere alla prodigiosa liquefazione. Il fenomeno ebbe termine quattro ore dopo. Nei giorni successivi, un’enorme folla di fedeli, laici e religiosi, accorsero per assistere all’avvenimento. Tra questi l’Arcivescovo di Napoli, il cardinale Sisto Riario Sforza (1810-1877) che successivamente ne attestò l’autenticità e donò un prezioso reliquiario dove riporla (fig. 3). 

Reliquia rio della chiesa di S. Maria dei Captivi o della Mercede di Napoli, rubato nel 1980.

Non fu, tuttavia, questa l’unica eminente testimonianza del prodigioso fenomeno.

Il redentorista tedesco Karl Mader (1840-1925) riporta l’episodio della liquefazione nella sua opera Die Congregation des Allerheiligsten Erlösers in Oesterreich, pubblicata a Vienna nel 1887.

Il 24 settembre 1871, lo stesso Superiore Generale dei Redentoristi, Nicolas Mauron (1818-1893), trovandosi a Napoli si recò alla Chiesa della Mercede in compagnia del Rettore Maggiore delle Province meridionali, p. Celestino Berruti, ed insieme ne furono testimoni.

Il giorno 28 aprile 1880, i religiosi redentoristi austriaci Joseph Kassewalder (1819-1898), all’epoca Superiore della Provincia Austriaca, e Andreas Hamerle (1837-1930) recatisi anch’essi nella chiesa della Mercede poterono assistere  alla liquefazione del sangue.

Altra testimonianza venne dal dottor Caspar Isenkrahe (1844-1921), matematico e fisico tedesco che, nella sua opera Neapolitanische Blutwunder, racconta di aver assistito personalmente il 3 e 6 maggio 1911, dopo una breve preghiera, al prodigioso evento.

Negli anni il fenomeno si susseguì ancora svariate volte come riportato nel libro di Giov. Batt. Alfano e Antonio Amitrano Notizie Storiche ed osservazioni Sulle Reliquie di Sangue conservate in Italia e particolarmente in Napoli pubblicato a Napoli nel 1951.

Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, la reliquia non fu più esposta al pubblico e venne così man mano scemando la devozione popolare. Nel 1980, un furto sacrilego portò via dalla chiesa della Mercede le reliquie lì conservate e tra queste anche la preziosa fiala con il sangue di s. Alfonso. 

Fortunatamente altre ne sono conservate in diversi paesi della Campania, pur se per alcune non abbiamo alcuna attestazione di autenticità: a Napoli nell’oratorio del Canonico Nicola Tozzi e nella chiesa di Santa Maria della Carità; nella Casa Redentorista a Pagani, già citata, ed infine nel Collegio Redentorista di Francavilla Fontana (fig. 4) donata dal Consultore Generale p. Antonio di Coste (1865-1944).

Foto 4. Reliquiario di Francavilla Fontana.

Al di là degli avvenimenti citati con le relative fonti, e qualunque sia il giudizio che si possa dare sulla natura di tali prodigi, resta il fatto che, riproporre alla venerazione dei fedeli queste reliquie, aiuterebbe la devozione popolare, ancor più in questo particolare momento storico. Non è il prodigio in sé che anima, quanto piuttosto l’aspettativa e la preghiera dell’attesa che mette in comunione il popolo di Dio e lo fortifica agli insegnamenti della Chiesa. E non ultimo, i paesi che le ospitano ne trarrebbero sicuramente giovamento per l’intera collettività così come avviene per la città di Napoli. Dimenticarne l’esistenza, o, ancor peggio, non salvaguardarle, risulterebbe quindi una colpevole mancanza.

Giovanni Pepe