Con cuore aperto sulle orme del Redentore

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Intervista a p. Rogério Gomes CSsR nel numero di dicembre di “In Cammino con San Gerardo”.

Sommario: È in corso una ristrutturazione nell’organizzazione della nostra Famiglia Redentorista. Un processo di rinnovamento nella vita apostolica della Congregazione del Santissimo Redentore che implicherà un cambio di strutture, con l’unione di (vice) province e la fusione e federazione delle province stesse, e di metodi missionari. In particolare, a partire dal gennaio del 2024, un’unica Provincia sostituirà quelle di Napoli, Roma, Madrid, Lisbona e Francia. Abbiamo chiesto al neo eletto Superiore Generale della Congregazione padre Rogério Gomes di illustrarci le motivazioni di questo cambiamento e gli auspici che ne derivano.

Caro padre Rogério, il 27 settembre, giorno della sua elezione a Superiore Generale, nel suo primo messaggio alla Congregazione l’ha esortata “a non temere la fedeltà creativa che ci rende fedeli allo Spirito, il quale ci permette di re-immaginare cose nuove e di intuire nuove vie di evangelizzazione”. È stata questa “fedeltà creativa” a far intuire la via della ristrutturazione della Congregazione?

Dalla sua fondazione avvenuta a Scala il 9 novembre del 1732 e fino ad oggi, la Congregazione del Santissimo Redentore ha subito diverse trasformazioni. Si è passati dal semplice cambio di denominazione (da Santissimo Salvatore a Santissimo Redentore) all’espansione al di fuori dell’Italia con le (vice)province, le regioni e le missioni e, nel corso del tempo, con le fusioni delle province. Del resto, la nostra Costituzione all’articolo 96 recita: “La Congregazione, conservando sempre il proprio carisma, deve adattare le sue strutture e istituzioni alle esigenze del ministero apostolico e a quelle peculiari di ogni missione”. Lo stesso fondatore della Congregazione Alfonso Maria de Liguori ha dovuto modificare profondamente il suo stile di vita per potersi dedicare agli abbandonati del suo tempo. Alfonso ha rinunciato alle sue comodità e ha compiuto un profondo distacco, sperimentando in prima persona la dimensione della kenosi del Redentore.

Ha definito la ristrutturazione della Congregazione come il “nostro vino nuovo alle nozze di Cana”. Fuor di metafora, questa nuova strada quale cammino prospetta alla Famiglia Redentorista? 

Tutta la Congregazione partecipa a questo lavoro di ristrutturazione che coinvolge cuore e mentalità, è iniziato trent’anni fa ed è stato sempre approfondito e confermato dagli ultimi capitoli generali. Inoltre, non è neanche circoscritto alla nostra Congregazione, perché esprime una tendenza, ben definita e condivisa dallo stesso Papa Francesco, all’interno della vita consacrata e della Chiesa stessa. La prospettiva è quella di rinnovare le strutture e, quindi, i nostri metodi missionari per compiere il meglio possibile quello che lo Spirito ci chiama a fare.

Quale impatto avrà la ristrutturazione nelle comunità frequentate dai nostri lettori, qui nella Provincia Napoletana dove tutto è nato?

L’impatto più evidente sarà vedere nuovi volti redentoristi e diversi stili di annuncio del Vangelo. Le decisioni della nuova Provincia saranno quindi assunte per il bene del Popolo di Dio e della missione redentorista.

La ristrutturazione traccia un cammino comunitario di respiro europeo. Un percorso, peraltro, perfettamente in sintonia con la via tracciata da papa Francesco nei giorni scorsi con l’annuncio della fase continentale del Sinodo. Ma come armonizzare le legittime differenze per riuscire ad ascoltarsi, a dialogare e ad arricchirsi reciprocamente a livello europeo?

La ristrutturazione traccia un cammino comunitario di respiro non solo europeo, ma che coinvolge la Congregazione nel mondo. Credo fermamente che questo respiro provenga dal vento dello Spirito che soffia dove vuole (cf. Gv 3,8). Papa Francesco, nell’udienza privata ai Superiori Generali del 26 novembre, ha detto che lo Spirito provoca il disordine per arrivare all’armonia. Nel libro della Genesi (cfr. Gen 11,1-9), quando gli uomini volevano rendere tutto uniforme, un’unica lingua, Dio “scese dal cielo” e li confuse. L’opposto avviene a Pentecoste, quando potevano parlare in lingue diverse e venivano capiti (cf. At 2,1-12). Pertanto, l’armonizzazione avviene quando mettiamo al primo posto il Vangelo e non le nostre convinzioni o visioni del mondo. Se il Vangelo è in primo piano, è possibile ascoltare profondamente l’altro, nonché dialogare e comprendere i diversi contesti personali e culturali e, infine, discernere. E per discernimento intendo quel profondo lavoro di artigianato, grazie al quale diversi frammenti, ben disposti, formano un bellissimo mosaico con la sua bellezza e ricchezza. La cultura europea è molto ricca e ora, in questo processo, è chiamata a discernere con altri compagni di viaggio…

Come per i discepoli sulla via di Emmaus (Lc 24, 13-43), ci spetta comprendere e diffondere la speranza che, in questo momento di incertezza, nasce dalla consapevolezza di essere accompagnati da Dio attraverso lo Spirito Santo. In questo senso, quali strade suggerisce di prendere fin d’ora con coraggio?

Per me la strada è mettersi in cammino con il nostro compagno di viaggio, il Redentore, senza paura e con tre bussole molto importanti: le Scritture, le nostre Costituzioni e la lettura dei segni dei tempi. Nel nostro bagaglio c’è, poi, la spiritualità redentorista con i suoi capisaldi e la sua ricchezza: Incarnazione, Croce, Eucaristia e Maria, che ci portano alla preghiera e alla comunità e viceversa.

Il Redentore quale compagno di viaggio, le bussole e un prezioso bagaglio: ma tutto questo per andare dove?

Per dirigerci verso la nostra destinazione: gli abbandonati, quelli che vivono l’incertezza sulla loro pelle ed ogni giorno della loro storia! Credo che il motto del XXVI Capitolo Generale: Missionari della speranza, sulle orme del Redentore, ci inviti a fare questa esperienza nel tempo che Dio ci ha donato.

Di lei dice: “preferisco sbagliare piuttosto che rimanere in una situazione stagnante che, a poco a poco, marcisce e muore. Dobbiamo abbandonare la comfort zone!” Una vera e propria sfida la sua che, come abbiamo raccontato nello scorso numero di questa nostra rivista, è stata subito rilanciata da papa Francesco. In questo senso, quali risposte auspica di ricevere, da subito, dalla sua Famiglia Redentorista?

Una prima risposta che vorrei ricevere da ogni Redentorista è quella di valorizzare la propria consacrazione come atto sublime di consegna della propria vita al Redentore e alla Congregazione, partendo dalla semplicità della vita quotidiana. Questa semplicità ci insegna a non rendere le cose difficili, ma a dar loro un nome, a cercare la via delle sfide. Gran parte dei conflitti comunitari e delle difficoltà nel portare avanti i progetti missionari sono dovuti alla nostra incapacità di semplificare le cose, di vedere le cose da un unico punto di vista quando dobbiamo discernere e prendere delle decisioni. Valorizzare la propria consacrazione non significa chiudersi in se stessi, ma rendersi disponibili, come recita la nostra Costituzione, a dedicarsi alla missione di Cristo nel mondo a servizio degli altri e per la comunità.

Quali altre risposte auspica?

Auspico anche che i confratelli non abbiano paura di quella fedeltà creativa che ci rende fedeli allo Spirito e ci permette di reimmaginare cose nuove, intuire nuovi percorsi di evangelizzazione, così come anche portarci a sbagliare ma poi ad imparare dai nostri errori e, quindi, a non rimanere pietrificati. Non dimentichiamolo mai: lo stesso Spirito che ha unto Gesù, Alfonso e i nostri santi, martiri, beati e venerabili, è qui ad amarci senza paura e ad accompagnarci, a provocarci e ad aiutarci in questo tempo di ristrutturazione! C’è, infine, una terza risposta che aspetto: la determinazione nel non perdere l’orizzonte del sogno e la capacità di rinnovarsi! La capacità di sognare stimola la creatività e se la vita consacrata perde questo orizzonte si irrigidisce.

Quali sono oggi le peculiarità dell’Identità Redentorista e della nostra Missione?

Il fondamento, il centro di tutto, è il Redentore. Io non vedo l’identità redentorista e la nostra missione al di fuori dell’identificazione personale con il Redentore e con il progetto del suo Padre. Possiamo fare tutte le discussioni che vogliamo, ma il nucleo è lì. Non a caso la nostra Costituzione all’articolo 20 recita: “forti nella fede, lieti nella speranza, ferventi nella carità, ardenti nello zelo, coscienti della propria debolezza, perseveranti nella preghiera, i Redentoristi, a uomini apostolici e veri figli di Sant’Alfonso, seguendo con gioia il Salvatore Gesù, partecipano al suo mistero, lo annunziano con semplicità evangelica di vita e di parola e, rinnegando se stessi, sono sempre pronti ad affrontare ogni prova per portare agli uomini l’a abbondanza della Redenzione”. Andare oltre, credo, significa perdersi nelle parole e perdere il denso significato e l’impegno che ne deriva!

Ci ha rammentato che lo Spirito diede ad Alfonso, fin dalle origini, l’ispirazione di fondare una Congregazione con due polmoni (cfr Lc 4,16-18): i chierici e i fratelli. E i laici, invece, quale parte rappresentano di questo corpo missionario chiamato a portare speranza sulle orme del Redentore esprimendo una rinnovata vitalità a favore dei più poveri e abbandonati?

“I fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore, dal quale ricevono una missione per la Chiesa e per il mondo. […] La vocazione dei fedeli laici alla santità comporta che la vita secondo lo Spirito si esprima in modo peculiare nel loro inserimento nelle realtà temporali e nella loro partecipazione alle attività terrene”: così recita l’Esortazione Apostolica Christifideles laici (al n. 2,17), che ci dà una buona indicazione sulla missione dei laici all’interno della Chiesa e anche della Congregazione. In questo senso, sempre più il carisma va condiviso con loro. E non in modo passivo, ma come una ricchezza che dà senso alla loro missione e alla nostra e che, allo stesso tempo, li motiva e li impegna a partecipare a questa opera missionaria che è la Congregazione. Il Concilio Vaticano II ci rammenta che la Chiesa è sì carismatica, ma non è proprietaria dei doni dello Spirito, che come tali vengono dati a ogni battezzato. Pertanto, il cammino missionario viene fatto tutti insieme: persone consacrate, membri battezzati che rispondono alla vocazione laicale e professi redentoristi. Questo vivifica il carisma e lo arricchisce!

Nel giorno in cui abbiamo celebrato la Festa del Fratello Gerardo, ci ha rammentato che il grande miracolo del nostro Santo fu quello di essere profondamente umano e, quindi, di santificarsi alla scuola della preghiera e della vita. Che cosa rende così attuale e affascinante il suo stile di vita?

Per me Gerardo è stato un uomo semplice, profondamente libero e affettuoso. Un uomo pratico che utilizzava al meglio gli strumenti in suo possesso per affrontare le sfide che gli si presentavano. Da questo punto di vista, il grande “strumento” di Gerardo era quello di saper ascoltare profondamente le persone e di trasmettere loro lo sguardo di Dio. La santità è il risultato di un processo di ascolto profondo di noi stessi, dell’altro e di Dio, e si realizza nella carne umana, in questo mondo, con la grazia di Dio. Gerardo ha saputo ascoltare e ci insegna che Dio è presente nelle cose giornaliere, anche in quelle che riteniamo insignificanti. Infine, la sua vita esemplare ci rammenta che la santità non è per gli eletti, ma che tutti siamo eletti da Dio, ed anche con le nostre profonde contraddizioni!

Gianluca Marsullo

“In Cammino con San Gerardo” è il mensile della Famiglia Redentorista, pubblicato dai Redentoristi della Provincia Napoletana.