La costituzione dogmatica “Lumen gentium” del Concilio Vaticano II dedica l’intero ultimo capitolo, alla presentazione della Beata Vergine Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa. Esso sviluppa lo studio della funzione di Maria nell’economia della salvezza. Il Concilio ha proposto uno studio della Madonna alla luce della sacra Scrittura, una ricerca esegetica dei testi biblici che parlano di Lei ed una sintesi teologica di tali dati. Il risultato è un ascolto attento della rivelazione divina su Colei che in modo mirabile ha ascoltato ed accolto il suo Signore.
La presente riflessione pone l’attenzione sul ruolo che Maria di Nazaret, cioè la madre del Messia gebirah, ha svolto nell’economia della salvezza. Su questa figura è possibile trovare nella sacra Scrittura informazioni obiettive e visioni teologiche. Nell’Antico Testamento non si parla di Maria in modo esplicito, ma alla luce del Nuovo Testamento, si può riconoscere in esso passi e figure che preconizzano la gebirah futura Madre del Signore. Il prestigio della gebirah è nell’essere la madre del re.
Parallelamente la femminilità e il grembo di Maria, sono legati all’ingresso di Dio nella storia in una forma piena e radicale. In Maria la Parola si fa carne, umanità, storia. L’intreccio tra finito ed infinito che si realizza nel grembo di Maria è limpidamente espresso nelle parole dell’angelo: Lo Spirito santo scenderà su di te (…) Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato figlio di Dio (Lc 1, 35). La nascita è il segno di un inizio, è indizio di limite e di umanità. La santità e la filiazione divina ci riportano invece all’area dell’infinito e di Dio.
La vicenda della figlia di Sion comporta molte tappe: quella della filiazione e quella nuziale, la tappa materna e quella della vedovanza e della sterilità. Anche in Maria si ripete questo itinerario. Ella è figlia di Dio e serva del Signore (Lc 1, 38) nel senso biblico per la sua totale adesione ad una missione ricevuta da espletare per la storia della salvezza. Come Abramo, Mosè, Davide, i profeti e lo stesso Servo di Jahvè, Maria è uno strumento fondamentale nella rivelazione di Dio. Come serva e figlia Maria è colei che crede all’adempimento delle parole del Signore (Lc 1, 45).
Come sposa e madre, Maria diventa segno della chiesa la quale genera nell’eucaristia, nella Parola e nell’amore il Cristo all’interno della comunità credente (Ap 12). Come Sion che era sterile e come i suoi figli i quali non erano semplicemente frutto di un processo biologico ma di grazia, così Maria è madre vergine e genera colui che non da sangue né da volere di uomo ma da Dio è stato generato (Gv 1, 13). Sion è anche madre vedova e sofferente che resta per sempre feconda. Anche Maria ai piedi della croce giunge alla spogliazione totale, all’estrema povertà perdendo il Figlio. Ma proprio in quell’istante riceve come figli i fratelli del Cristo, tipizzati nel discepolo che Gesù amava, continuando così nei secoli la sua missione materna.
La figura del re con la madre al suo fianco prefigura Gesù, re messianico (2Sam 7, 10-17) e sua madre Maria. I primi cristiani di origine ebrea non ebbero alcun problema quando la Chiesa venerava Maria come Regina dei martiri e dei santi. Essi videro Salomone e Betsabea come prototipi di Gesù e Maria (Lc 1, 31-33 e Mt 1, 21)
Gebirah, regina Madre
Nell’Antico Testamento si trovano molte immagini che possono essere applicate alla Madre del Messia[1]. Come si legge nel testo di Anna Maria Canopi citato da Carlo Miglietta, Ester e Maria: “Colui che è “nato da donna” (Gal 4, 4) (…) è stato, in certo modo, già concepito e portato in grembo dalle antiche “madri di Israele”, da tutte quelle donne che, nonostante la loro condizione di povertà e di debolezza, hanno avuto un ruolo determinante per la salvezza del popolo eletto e dell’intera umanità. I loro nomi brillano come perle preziose nelle pagine del testo sacro: sono Sara, Rebecca, Rachele, Miriam (la sorella di Mosè), Debora, Rut, Anna, Giuditta, Ester (…)”[2].
La monarchia, in Israele, nasce sotto il regno Davide nel X secolo a. C. con la conquista di Gerusalemme, fortezza gebusea, e segna l’inizio di un governo centralizzato ed organizzato[3]. Le varie tribù israelitiche che si erano da qualche secolo installate nel territorio di Canaan sono costrette dalla schiacciante minaccia filistea a darsi una struttura monarchica con un capo valente, capace di portare il popolo alla vittoria e di difendere gli interessi dei vari gruppi confederati. Con Davide nasce in Israele l’istituzione monarchica, la quale, non avendo alcun precedente nelle tradizioni tribali a cui ispirarsi, assume quasi tutte le caratteristiche sacrali che aveva la monarchia nell’antico vicino Oriente. Anche in Israele, il re è tale per costituzione divina, ma, a differenza delle altre antiche ideologie monarchiche, a lui non è attribuita natura divina, egli è il grande rappresentante della divinità e con Dio ha una strettissima relazione di dipendenza.
La monarchia di Davide venne fondata con un oracolo profetico di Natan (2Sam 7,1-16) in cui Dio garantisce a un discendente di Davide che, sempre, siederà sul trono di Gerusalemme. Perché questa dinastia possa restare sul trono nei secoli è indispensabile una discendenza sicura: i figli del re sono il frutto concreto della divina benedizione e la condizione di sopravvivenza della casa di Davide. In questo modo viene divinamente garantita la dinastia davidica.
In questo contesto storico e culturale, alla corte di Gerusalemme assume un grande rilievo la regina Madre, chiamata gebirah, ovvero “la Signora” termine che indica abitualmente la madre del re. La dignità di grande Dama veniva conferita alla madre del re nel momento dell’intronizzazione del figlio. Alla madre del re era conferito un prestigioso titolo gebirah (signora) (2Re 5, 3; Ger 13, 18) in quanto dava la vita all’eroe (geber), che era appunto il re (2Sam 23, 1). L’importanza della gebirah nasceva dal fatto di essere “la madre del re”, cioè lo strumento concreto che rendeva possibile la realizzazione della benedizione divina e garantiva la solidità della dinastia davidica. Le mogli del re presenti nell’harem sono molte, ma solo sua madre ha la dignità di regina, in quanto datrice di vita.
La prima gebirah di Giuda è stata Betsabea, non perché moglie di Davide, ma in quanto madre di Salomone, il figlio che è riuscito a rafforzare il regno nelle proprie mani. Inoltre, Betsabea ha svolto un ruolo chiave nell’elezione di Salomone come successore al trono, nel momento in cui al re Davide cominciarono a venir meno le forze. Quando Salomone, figlio di Davide, divenne re (1Re 1,45-46: 2, 12), a sua madre Betsabea, venne dato un posto alla destra del re. Egli si inchinò ai suoi piedi (1Re 2, 19), e non poteva negare le sue richieste fatte per il popolo (1Re 2, 20). La sua grande importanza nella corte veniva spesso espressa dal fatto che lei affiancava il re nelle sue decisioni[4].
Il titolo gebirah comportava una dignità e dei poteri particolari. Questo spiega perché i libri dei Re menzionino quasi sempre il nome della madre del re nell’introduzione ad ogni regno di Giuda (eccetto Joram, Acaz e Asa), quello della dinastia davidica da cui nascerà il Messia, senza alcun riferimento a questa figura per il regno di Israele.
Maria, madre del Messia
Maria è legata alla vicenda storica di Gesù di Nazaret. Della madre del Messia parlano tre testi biblici che presentano un’importante figura femminile madre di un personaggio decisivo: Gen 3,15; Is 7,14 e Mic 5, 2[5].
La prima madre (Gen 3, 15). Il ruolo di protagonista nella storia descritta in Gen 3, 15 è la donna chiamata Eva, perché fu la madre di tutti i viventi (Gen 3, 20). Eva è un nome legato alla radice di vita e svolge un ruolo altamente significativo. Essa fu il prototipo della madre (gebirah), la gran dama di corte; colei che ha dato inizio alla benedizione.
A fianco della donna si pone il simbolo del serpente, una figura simbolica che assume connotazioni diverse a secondo dell’ambiente culturale in cui la si considera[6]. L’autore biblico ha fuso tutte queste valenze nel suo simbolico personaggio messo in stretta relazione con la donna. Alla figura femminile si conferisce una notevole dignità e l’accento cade sul ruolo positivo della donna come prototipo della grande Madre.
Dio preannuncia una complessa vicenda di rapporti fra il serpente e la donna; ma più importante è la menzione della discendenza della donna (Gen 3, 15): “E inimicizia porrò fra te e la donna fra il tuo seme e il suo seme: esso ti insidierà alla testa e tu lo insidierai al calcagno”. Il versetto presenta l’inizio di un’ostilità. I due avversari non sono solo il serpente e la donna, ma sono coinvolti le discendenze delle due parti, indicate con un’espressione tipicamente semitica, il seme. Questo oracolo divino si presenta come il primo annuncio di benedizione, nonostante l’irruzione del male. Il suo autore vede nella dinastia di Davide la discendenza benedetta che vincerà nella lotta contro le forze del male. La figura della prima Madre svolge nella rilettura cristiana un ruolo molto importante come tipo della nuova Madre, colei che ha generato l’uomo nuovo, il vincitore del peccato e della morte.
La madre e il figlio Emmanuele (Is 7, 14). Un altro testo che si riferisce alla madre del Messia si trova nel libro del profeta Isaia, inserito nella corrente teologica del messianismo regale e davidico[7]. Nel versetto Is 7,14, nell’insieme dell’oracolo, si parla della nascita di un bambino e della rapida e felice risoluzione della presente difficoltà dinastica. Alla casa di Davide è promesso un benessere. Isaia garantisce che Dio eliminerà i re di Damasco e di Samaria, nemici di Giuda, prima che questo bambino abbia raggiunto l’età della ragione, è quindi evidente che si pensi ad un fatto imminente[8]. In questo frangente Isaia parla al re Acaz in quanto rappresentante della casa di Davide, portatore della promessa fatta da Dio al primo re di Giuda. L’oracolo profetico conferma la fiducia nella divina protezione riservata alla discendenza davidica. Il fatto annunciato si realizzò, ma il testo di Isaia non fu accantonato. Le generazioni seguenti continuarono a leggerlo e lentamente l’interpretazione si rivolse al futuro, all’attesa cioè di una grande e prodigiosa nascita.
Il punto centrale dell’oracolo è la figura della donna, evocata con il termine haalmah, che il profeta indica come la madre di questo significativo fanciullo. Lo stesso termine ricorre altrove nella Bibbia ebraica solo otto volte: Gen 24, 43; Sal 46 (45); 1Cr 15, 20; Es 2, 8; 68 (67), 26; Ct 1, 3: 6, 8; Pr 30, 19. In tutti questi casi il vocabolo haalmah indica sempre una giovane donna, ma senza riferimenti che mettano in risalto le caratteristiche della verginità[9]. La nascita di un discendente di Davide sarà il segno della salvezza ed il ruolo della haalmah sarà significativo proprio in quanto Regina-Madre[10].
Il fatto della nascita straordinaria di Gesù ha permesso alla comunità cristiana di comprendere in senso forte e pieno il significato dell’oracolo di Is 7,14. Altamente significativa è l’interpretazione dell’evangelista Matteo, il quale, dopo aver presentato la nascita verginale di Gesù (Mt 1,18-21), riporta una citazione biblica che trova conferma e realizzazione nell’evento appena descritto: Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio e lo chiameranno Emmanuele (Mt 1, 22-23).
Colei che deve partorire (Mic 5, 2). L’ultimo oracolo che comprende un riferimento alla madre lo troviamo nel libro del profeta Michea, all’interno di un poema che annuncia e descrive un nuovo regno[11]. Il tema di questo poema è l’attesa del regno definitivo instaurato da un futuro e perfetto discendente di Davide. Mentre la monarchia davidica sembra ormai definitivamente scomparsa, il profeta annuncia un nuovo principio proprio a partire dal clan efrateo di Betlemme da cui era uscito il re Davide. Il tempo che separa il deplorevole stato attuale dal momento luminoso del Messia, presentato dal profeta, contiene il riferimento alla madre del dominatore: “Perciò li darà finché una partoriente partorisca” (Mic 5, 2a). L’oracolo di Michea, per indicare la madre, adopera un termine ancora più generico y’ledah, che è il semplice participio femminile del verbo yld (generare); è senza articolo determinativo, quindi evoca una figura imprecisata; ed indica pertanto una partoriente, una gestante, una donna che aspetta un bambino. Il riferimento implicito alla madre dell’Emmanuele offre una buona spiegazione dell’oracolo: la figura di una donna che attende la nascita di un figlio, carica del simbolismo messianico e regale elaborato alla corte di Gerusalemme, è divenuta un puro simbolo dell’attesa, della gestazione e del travagliato parto del Messia. Il profeta adopera un linguaggio antico e proietta in un futuro imprecisato la simbolica figura della regina Madre: quando sarà il momento costei darà alla luce il dominatore escatologico.
L’interpretazione cristiana ha accolto con favore la lettura messianica dell’oracolo di Michea e l’ha di preferenza adoperata per sottolineare la corrispondenza fra l’attesa del Messia da Betlemme e la realizzazione avvenuta in Gesù. L’evangelista Matteo cita ampiamente questo testo, facendolo proferire ai sommi sacerdoti e agli scribi del popolo che intendono indicare ad Erode il luogo della nascita del Messia (Mt 2, 5-6). Similmente, nel Vangelo di Giovanni si allude a questo versetto e alla sua lettura messianica, quando viene riferito il dubbio del popolo circa il fatto che Gesù venga da Nazaret: Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide? (Gv 7, 41b-42). Tale accreditato uso evangelico ha reso notissima la profezia nella letteratura patristica e molti maestri cristiani l’hanno commentata con esegetica precisione.
Le profezie dell’Antico Testamento riguardo la venuta di Cristo, il Messia, sono varie e di gran portata. Annunziano Gesù in diversi aspetti dei suoi misteri e della sua venuta. La sacra Scrittura ci riporta questi annunci, qualche volta usando un modo figurato, qualche volta in modo diretto riportando i testi alla lettera. Lo stesso Gesù dirà a più riprese che le Scritture gli rendono testimonianza. In particolare, risuonano con più chiarezza le parole che rivolge agli increduli discepoli che trova sulla via di Emaus dopo la sua risurrezione, e la riflessione del evangelista sull’accaduto Lc 24, 25-27 O stolti e tardi di cuore a credere a quello che hanno detto i profeti! Non doveva forse il Cristo patire tutto questo ed entrare nella sua gloria? E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro quanto lo riguardava in tutte le Scritture.
Maria, madre della Chiesa
La figura storica di Maria è stata preparata da un grande tema generale che attraversa molti testi e presenta una figura femminile simbolica, con la quale i profeti presentano la novità messianica la Figlia di Sion. La Figlia di Sion è raffigurata come una donna che è insieme sposa, madre e vergine. Israele è spesso presentato come la sposa di Dio, continuamente portata all’infedeltà e instancabilmente recuperata dallo Sposo. Il titolo di madre è riservato alla città di Sion che ha generato molti figli, li ha persi ed attende con impazienza che siano di nuovo in essa riuniti. L’immagine della vergine betullah è usata talora per il popolo stesso e sempre nel contesto dell’alleanza, per significare che la fedeltà è l’amore intatto con cui la Vergine Israele aderisce al suo unico Sposo Jahwe. La Figlia di Sion è una figura femminile simbolica nell’Antico Testamento che realmente è tipologica nei confronti della Vergine Maria. Quando gli autori del Nuovo Testamento presentano Maria, utilizzano come modello letterario interpretativo questa figura, quale sposa, madre e vergine betullah. Maria, la Madre di Gesù è considerata come la personificazione messianica di tutto il popolo di Israele e diventa la nuova Figlia di Sion. L’Antico Testamento si conclude in un punto concreto, giungendo a una persona singola, Maria, che è nello stesso tempo il punto di partenza e l’inizio del Nuovo Testamento, del tempo messianico della Chiesa.
La Madre di Gesù ha lasciato pochissime tracce nella storia della Chiesa primitiva. Donna del silenzio e del nascondimento ha seguito l’opera della Chiesa nascente nel ritiro segnato dall’affetto e dalla preghiera. Solo una volta Luca ricorda Maria dopo l’ascensione di Gesù, dopo che Gesù è salito al cielo, gli Apostoli tornano a Gerusalemme e si raccolgono nel cenacolo: Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di lui (At 1,14). Due aggettivi: assidui e concordi, sono stati applicati all’azione della preghiera. Gli Apostoli sono perseveranti, continuano l’opera di Gesù e non si stancano, sono uniti e affiatati fra di loro, un cuor solo ed un’anima sola. In questa realtà di Chiesa Maria è presente, partecipe dell’assiduità e della concordia, partecipe della preghiera, modello del discepolo e del credente che persevera nella fede, è concorde con i fratelli e viene in comunione con il suo Signore nella preghiera fiduciosa. Questo versetto degli Atti presenta realmente Maria come la Madre della Chiesa.
La visione nell’Apocalisse 12 è stata abitualmente applicata a Maria. Si tratta però di un’applicazione secondaria, frutto di una riflessione teologica posteriore. Il senso primario della Donna vestita di sole è quello di indicare simbolicamente l’umanità nella sua gloria originale, nello splendore del progetto divino: è l’immagine dell’umanità ideale, come Dio la sogna e la vuole realizzare. Seguendo questa direzione possiamo anche parlare di una simbologia ecclesiale: la Chiesa, infatti, è il principio dell’umanità nuova, trasformata dal mistero pasquale del Cristo ed in crescita verso la pienezza del Regno. Approfondendo ancora questa interpretazione, possiamo trovare un’immagine mariana, in quanto Maria è la creatura umana nello splendore originale e rispecchia perfettamente il progetto di Dio; inoltre è tipo della Chiesa, primizia della novità che il Cristo dona a tutti gli uomini che lo accolgono con il cuore e la disponibilità di Maria.
Maria è l’anello di congiunzione fra le due economie della salvezza, la persona concreta che lega i due popoli e segna il passaggio dall’antico al nuovo; Maria è Figura Sinagogale, simbolo del popolo d’Israele, come insegnava la tradizione medievale, e contemporaneamente è l’archetipo e l’icona della Chiesa, come i Padri si compiacevano di chiamarla. Maria è ancora Israele ed è già la Chiesa.
Osservazioni conclusive
Il testo del Concilio Vaticano II Lumen gentium, 55 riassume ed organicamente presenta la Madre del Messia nell’Antico Testamento: “I libri del Vecchio e Nuovo Testamento e la veneranda Tradizione mostrano in modo sempre più chiaro la funzione della Madre del Salvatore nell’economia della salvezza e per così dire la propongono alla nostra considerazione. I libri dell’Antico Testamento descrivono la storia della salvezza, nella quale lentamente viene preparandosi la venuta di Cristo nel mondo. E questi primitivi documenti, come sono letti nella Chiesa e sono capiti alla luce dell’ulteriore e piena rivelazione, mettono sempre più chiaramente in luce la figura della donna, Madre del Redentore. Sotto questa luce ella viene già profeticamente adombrata nella promessa, fatta ai progenitori caduti nel peccato, circa la vittoria sul serpente (Gen 3,15). Parimenti, ella è la vergine che concepirà e partorirà un figlio, il cui nome sarà Emmanuele (Is 7,14; Mi 5, 2-3; Mt 1, 22-23). Ella primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza. E infine con lei, la eccelsa Figlia di Sion, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura la nuova economia, quando il Figlio di Dio assunse da lei la natura umana, per liberare coi misteri della sua carne l’uomo dal peccato”.
L’Antico Testamento non parla di Maria in modo esplicito, ma conoscendo il Nuovo Testamento e illuminati dalla rivelazione piena di Gesù Cristo, siamo in grado di riconoscere anche nell’antica alleanza le tracce e le anticipazioni della futura madre gebirah. La regina madre è associata al figlio in tutto il racconto d’infanzia scritto dall’evangelista Matteo, ma in particolare nella scena dei magi. Essi si prostrano in adorazione davanti al bambino che riconoscono come Dio e re dei giudei, ma al tempo stesso rivolgono il naturale omaggio alla gebirah. In tal modo l’evangelista associa la madre alla gioia del figlio. La madre non partecipa soltanto alla gloria, ma condivide in tutto la sorte del figlio. Insieme con il bambino, ricercato dal nuovo faraone che intende eliminarlo, Maria sperimenta la fuga e l’esilio. Ella riceve accanto al bambino l’esperienza dell’antico Israele, oppresso e votato alla morte dal faraone che ordina l’uccisione di tutti i bambini, ma prodigiosamente liberato dal braccio potente di Dio.
Si tratta di una sintesi di teologia mariana che sottolinea gli aspetti fondamentali che la Parola di Dio insegna sulla persona ed il ruolo della Madre del Messia. La Beata Vergine Maria nell’annunzio dell’angelo accolse nel cuore immacolato il Verbo di Dio e meritò di concepirlo nel grembo verginale. Ai piedi della croce, per il testamento d’amore del Figlio, estese la sua maternità a tutti gli uomini, generati dalla morte di Cristo per una vita che non avrà fine. Immagine e modello della Chiesa orante, si unì alla preghiera degli Apostoli nell’attesa dello Spirito Santo. Assunta alla gloria del cielo, accompagna con materno amore la Chiesa e la protegge nel cammino verso la patria, fino al giorno glorioso del Signore.
Gabriel Witaszek CSsR
Professore ordinario dell’Accademia Alfonsiana, Roma
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[1] Alla storia di Abramo lo Jahwista premette alcuni racconti, che noi oggi con una terminologia moderna potremmo chiamare degli “archetipi”, cioè dei testi che vogliono spiegare il senso profondo di tutti gli eventi; sono collocati all’inizio perché, gettando luce su tutto quello che segue, si presentano come cause e chiavi di lettura di tutto il resto.
[2]Carlo Miglietta, Ester e Maria, in http://www.gruppifamiglia.it/anno2013/Miglietta%20Ester%20e%20Maria.html, Consultato il 17 luglio 2015.
[3] La monarchia di Davide assume le caratteristiche sacrali che aveva la monarchia nell’antico vicino Oriente, per cui il Re era tale per costituzione divina. Il re, se non ha natura divina, è però in strettissima relazione con Dio.
[4] I profeti non hanno mai criticato l’istituzione della madre del re, nonostante condannassero spesso i re per aver infranto la legge di Dio. “Figlie di re sono tra il vostro onore; Regina è alla tua destra in ori di Ofir (…) supplicò tuo favore dei ricchi. Tutto gloriosa è la figlia del re al suo posto (…) io perpetua il ricordo del tuo nome in ogni generazione, così le genti ti loderanno nei secoli dei secoli” (Sal 45, 9-17).
[5] Questi tre testi sono legati fra di loro e connessi con la teologia regale sviluppatasi nella corte di Gerusalemme. Sono stati interpretati fin dall’antichità, da esegeti giudaici e cristiani, come relativi alla Madre del Messia Gesù.
[6] Il serpente, in un contesto egiziano, è il simbolo del potere e della sapienza, mentre nella mentalità cananea il serpente è una potenza ctonia legata alla fertilità e alla procreazione. Nel mondo orientale in genere assume una forma di serpente il mostro primordiale del caos, opposto al dio creatore dell’ordine.
[7] Il testo completo dell’oracolo (Is 7, 13-16) è incentrato sull’immagine di un segno offerto da Dio per confermare la sua protezione su Gerusalemme e la dinastia davidica. Questo testo è legato agli eventi storici che hanno segnato la vicenda del regno di Giuda e del profeta stesso. Isaia, uomo di corte e di grande cultura opera a Gerusalemme tra il 740 e il 701 a. C., durante il regno di Jotam (740-736), Acaz (736-716) ed Ezechia (716-687). La sua produzione letteraria è stata raccolta, insieme ad altro materiale, nei capp. 1-39 del rotolo che porta il suo nome, continuato in seguito da tutta una scuola di discepoli che al grande maestro si ispirò per secoli. I testi nati durante la prima fase della sua attività sono stati raccolti dai redattori in una unità letteraria che comprende i capp. 5-11 ed è comunemente chiamata “Libretto dell’Emmanuele”. Il versetto Is 7, 14 è compreso in una narrazione a carattere storico che presenta, in terza persona, azioni e parole del profeta. L’unità letteraria (Is 7, 1-17) può essere facilmente suddivisa in tre parti strettamente connesse fra di loro: ad un inquadramento storico degli eventi (Is 7, 1-2) fa seguito un oracolo, parte in prosa parte in poesia, che il Signore affida al profeta per Acaz (Is 7, 3-8) e poi un altro oracolo, in prosa, che Isaia rivolge allo stesso re e nella stessa circostanza, ma in un successivo incontro (Is 7, 9-17).
[8] La situazione storica in cui questo oracolo è stato collocato è la guerra cosiddetta “siro-efraimita”. Si tratta di una campagna contro il regno di Giuda mossa dagli alleati Pechak, re di Israele, e Rezin, re di Aram. Di fronte alla pericolosa minaccia del potente re assiro Tiglat Pileser III (Tukulti-apil-Esarra) i piccoli regni siro-palestinesi volevano organizzare una coalizione di opposizione antiassira, ma il re di Giuda si rifiutò di collaborare. Per rappresaglia, dunque, le forze congiunte di Damasco e di Samaria assalirono Gerusalemme e la cinsero d’assedio: secondo il preambolo storico di Is 7,1-2 questa impresa mirava ad abbattere la dinastia davidica e sostituire il re Acaz con un certo figlio di Tabeèl (Is 7, 6), probabilmente un arameo della corte di Damasco.
La vicenda politica e militare metteva in pericolo soprattutto la continuità della Casa di Davide. Il Discendente di Davide, legittimo re secondo il divino oracolo di Natan, rischiava di essere sostituito da uno straniero qualsiasi. I teologi di corte, difensori della regalità sacra, guardavano con preoccupazione agli eventi e cercavano di scoprire la volontà di Dio nei tempestosi frangenti di quell’anno 733 a. C..
[9] Secondo alcune interpretazioni il bambino sarebbe da identificare con l’insieme dei nascituri al tempo di Acaz e quindi la donna dell’oracolo sarebbe ogni madre in Israele; altri, invece, vedono nel bambino un terzo figlio del profeta portatore di un ulteriore simbolico nome e quindi la giovane donna sarebbe la moglie di Isaia. Mentre un’esegesi più simbolica ha creduto di riconoscere nella `almah l’immagine del popolo di Israele che genera il resto santo.
[10] La giovane nel testo ebraico è הָעַלְמָה (haalmàh); nel testo greco della LXX è ἡ παρθένος (e parthènos); nella Vulgata latina è virgo. Generalmente viene tradotto con la giovane, la fanciulla, la ragazza. Il vocabolo ebraico usato da Isaia – הָעַלְמָה (haalmàh) – non viene mai usato nella Bibbia per indicare una donna sposata; esso designa una ragazza adolescente giunta all’età delle nozze. È con questo significato che lo troviamo nella Scrittura.
[11] L’attività del profeta Michea è collocata nel regno di Giuda durante il governo di Jotam (740-736), Acaz (736-716) ed Ezechia (716-687). Originario di Moreset, un paesino a sud-ovest di Gerusalemme, Michea è un uomo del popolo, uno dei tanti poveri che hanno subito direttamente i danni delle continue guerre di quegli anni che culminarono con l’occupazione della Giudea da parte del re assiro Sennacherib. Egli fa protesta sociale contro la classe dominante e diviene così partavoce di Dio, araldo della giustizia e del diritto.